Sabrina Cottone
Un imam in Duomo, altri esponenti religiosi delle comunità islamiche nella chiesa di santa Maria in Caravaggio di via Brioschi, poco lontano dalla moschea di via Meda, per l'appuntamento organizzato dalla Diocesi con il Coreis. E poi a Cernusco sul Naviglio e nella parrocchia di Greco. Appuntamenti organizzati, come quello della Comunità di sant'Egidio e della Curia, ma anche movimenti spontanei segnalati in chiese di tutta la città. Segnali rilevanti, a cui però manca sia la presenza degli imam più radicali che il movimento di popolo. Eppure le prime pietre si muovono.
A commentare ciò che accade è don Luca Bressan (nella foto), Vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione. Mostra ottimismo: «Sono passi importanti, frutto di semi che abbiamo gettato negli anni».
Monsignor Bressan, come valuta la presenza dei musulmani nelle chiese come segno di solidarietà per il barbaro assassinio di padre Jacques?
«Penso vada interpretato in un clima di dialogo che si sta costruendo da anni. All'interno del Forum delle religioni, nato ufficialmente nel 2000, ma i cui inizi risalgono allo spirito di Assisi (nel 1986 Giovanni Paolo II aveva invitato nella città umbra i leader delle religioni per pregare per la pace, ndr)».
Quali sono i principali elementi del dialogo tra cristiani e musulmani che si vivono a Milano?
«A parte il confronto tra rappresentanti delle religioni, di cui dicevamo, c'è molto dialogo a livello della carità, perché le iniziative in favore di chi ha bisogno ci accomunano. E poi abbiamo gli oratori estivi, ai quali partecipano tanti bambini musulmani, così come ai doposcuola che si svolgono durante l'intero l'anno».
Vuol dire che non è soltanto un confronto intellettuale tra persone colte e benestanti?
«No, anche se questo aspetto esiste ed è importante. C'è la Fondazione Oasis che dà un contributo. E il professor Paolo Branca ha organizzato lo scorso anno all'Università Cattolica un master in dialogo tra le tre religioni monoteiste. Anche l'Istituto superiore di scienze religiose ha al suo interno un laboratorio per il dialogo».
Eppure nelle chiese è mancata una vera e propria partecipazione di popolo. Lei come se lo spiega?
«È stato un appuntamento organizzato all'improvviso a fine luglio. Molti erano via o non hanno avuto tempo per organizzarsi. Ma gesti comuni li abbiamo già compiuti spesso. All'Expo sono stati davvero numerosi».
Qualcosa da dire sull'accoglienza
cristiana?«Mi limito a sottolineare che anche se nella terra ambrosiana esiste ancora una solida fede di popolo, un sussulto di maggiore partecipazione dovremmo averlo pure noi cristiani. È un problema di fede anche nostra».
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