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Stalking sui sottoposti, processo al comandante: "Non era solo goliardia"

Nella caserma dei carabinieri di Treviglio una storia di prepotenze e maltrattamenti

Stalking sui sottoposti, processo al comandante: "Non era solo goliardia"

Per la Procura di Bergamo, che aveva chiesto di archiviare il fascicolo, si trattava solo di episodi di golardia, battute tra commilitoni magari sgradevoli ma senza rilievo penale. Invece per il giudice chiamato a valutare la vicenda, quello avvenuto all'interno della caserma dei carabinieri di Treviglio è stalking a tutti gli effetti, una serie di comportamenti persecutori per i quali ora il comandante della compagnia appare destinato a finire sotto processo. A rendere inaccettabili i comportamenti, per il giudice, è proprio il rapporto di subordinazione, capitano contro brigadiere, che rende inaccettabili battute che magari tra carabinieri pari grado sarebbero state innocue: come quando al sottufficiale, reduce da una visita alla prostata, l'ufficiale dice «So che le è piaciuto».

Tutto inizia, secondo la denuncia presentata dal brigadiere Luciano Galli, quando a comandare la compagnia arriva il capitano Davide Papasodaro, che subito manifesta il proposito di un «cambio di rotta» radicale rispetto alla gestione precedente. Intento legittimo. Ma secondo il giudice il capitano non si limita a «una costante presenza negli uffici, una infaticabile attività, un serrato controllo sui subordinati»: sconfina invece in «comportamenti che appaiono avere travalicato i limiti di mere battute integrando una reiterazione di atti molesti, specificamente ed intenzionalmente diretti in particolare» contro il brigadiere Gialli.

«Il vento è cambiato», era lo slogan del comandante. Secondo uno dei carabinieri interrogati, il capitano «avendo obiettivi che io non conosco ha inteso prendere provvedimenti con le persone che non riteneva idonee ai suoi parametri o che intendeva allontanare». Nelle riunioni Papasodaro sosteneva di avere una lista in cui i carabinieri di Treviglio erano divisi in «bianchi» e «neri». Papasodaro si riprometteva di smantellare i «feudi» che si sarebbero a suo dire creati all'interno della compagnia, ma accompagnava questo proposito con un atteggiamento che una testimonianza descrive così: «Guardandomi in faccia mi diceva Io qui a Treviglio sono sprecato perché qui il livello è molto basso: sono un capitano di serie A, qui comando io perché ho vinto cinque concorsi e ho tre lauree». Lo stesso testimone ipotizza come movente «la rabbia che aveva nei confronti del capitano B., suo predecessore, perché non gli liberava l'alloggio di servizio».

Nel novembre 2017, dopo la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, il giudice aveva ordinato nuove indagini. E ora dispone l'imputazione coatta a carico dell'ufficiale. Tra gli episodi si ricorda quello in cui Papasodaro incontrando Gialli sulle scale lo rimproverò per la giacca sbottonata, «già lei non mi sta simpatico».

Il brigadiere gli rispose che era in servizio dalle 7, che non aveva pranzato e che avrebbe dovuto fare anche la notte. Pare che il capitano non avesse gradito. Siamo di fronte, scrive il giudice, a «una serie di episodi di opprimente controllo». Ora la Procura dovrà chiedere il rinvio a giudizio dell'ufficiale.

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