Piera Anna Franini
Da sempre la storia di Milano, e per certi aspetti d'Italia, è passata attraverso i velluti e gli stucchi del teatro alla Scala: molto più di un erogatore di spettacoli. Citiamo un esempio recente: il 7 dicembre, l'interminabile applauso al presidente Sergio Mattarella e l'inno d'Italia cantato con inconsueta intensità diedero un chiaro segnale alla politica di quelle settimane. Ecco perché la ricerca (portata a termine proprio in questi giorni) sui palchettisti e rispettivi palchi scaligeri consente di ripercorrere i momenti chiave della storia della città. La ricerca è stata condotta dalla Scala in collaborazione con la Biblioteca Nazionale Braidense e il Conservatorio Verdi che, appunto, ha formato i giovani studiosi che hanno raccolto ed elaborato i dati. Il tutto col la supervisione di Franco Pulcini, Pinuccia Carrer, Antonio Schiarirò e Giuseppe Gentili Tedeschi.
L'indagine ha interessato i 142 anni di vita dei 155 palchi: dal 1778 al 1920, e confluirà in una mostra - a cura di Pier Luigi Pizzi - attesa dal 7 novembre. Così come il 7 dicembre verrà lanciato un sito e un volume edito dall'Enciclopedia Treccani. Palchi che verranno presto soggetti a un'operazione di restyling: spogliati dell'imbottitura per migliorare la risposta acustica. Un intervento di durata triennale, al via quest'estate, sollecitato dai professori d'orchestra e firmato da Ürgen Reinhold dello studio Müller-BBM di Monaco. Si inizia con i palchi del primo ordine.
Perché la ricerca si concentra su 142 anni? Poiché dopo il 1920, apice e chiusura del biennio rosso, i palchi smisero di essere una proprietà privata passata di padre in figlio. Si chiudeva dunque un'era: quella in cui i milanesi amavano sfoggiare il proprio status sociale con l'inclusione nella lista dei palchettisti, oltre che risiedendo in un palazzo nella futura area C, più la villa sul lago e il mausoleo al Cimitero Monumentale. E più il palco era vicino al boccascena, più cresceva il prestigio del proprietario: quella collocazione consentiva, infatti, di essere visti. Palchi tutti diversi così da rispecchiare il gusto, o cattivo gusto, di famiglia, a conferma dell'individualismo insito nelle italiche fibre di sempre. I palchi erano salotti aristocratici dove discutere di cuori e denari. E connesso ai denari: di politica. Due in particolare erano i palchi dove i bollori risorgimentali allarmavano le autorità austriache e dunque erano monitorati a vista: il numero quattordici del II ordine a sinistra e il numero cinque del I ordine a destra, rispettivamente proprietà dei Porro Lambertenghi e dei Confalonieri, pare frequentati da Silvio Pellico, Piero Maroncelli e forse Giovanni Berchet.
Per ogni palco è stata redatta una scheda. Creusa Suardi, 32 anni, musicista e musicologa di Pavia, si è occupata del palco numero 17, I ordine, settore sinistro. Fino all'unità d'Italia appartenne ai Castelbarco e per intrecci di parentele finì alla colta e bella Maria Litta Visconti Arese. Divenne quindi patrimonio privato di Vittorio Emanuele II, primo Re d'Italia, poi di Umberto I, quindi del suocero di Umberto Giordano nonché proprietario e gestore dell'Hotel Et de Milan, l'hotel dove visse e morì l'ottuagenario Giuseppe Verdi. Maria Grazia Campisi, laurea in Discipline storiche, critiche e analitiche della musica, ha indagato il palco n° 5, I ordine, settore destro. Palco di patrioti ferventi tra cui Federico Confalonieri, antinapoleonico, fondatore con Giovanni Berchet, Silvio Pellico e Luigi Porro Lambertenghi del periodico Conciliatore.
Nella seconda metà dell'Ottocento passò a un nobile liberale che militò nell'esercito sabato durante la terza guerra d'Indipendenza (dove per la verità l'infante Italia non fece però una gran bella figura pur conquistandosi le terre venete).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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