Non basta la parola di Gaspare Spatuzza, oggi il più autorevole tra i pentiti di mafia in circolazione, per condannare all'ergastolo un imputato: anche se è accusato di un crimine tremendo, la strage di via Palestro del 1993, e anche se non è uno stinco di santo, essendo già stato condannato per traffico di droga e altri reati. Ma ieri pomeriggio la Corte d'assise presieduta da Guido Piffer prende una decisione decisamente garantista, andando in senso opposto alle tante sentenze che in Sicilia e altrove hanno preso per buone le accuse di Spatuzza ai suoi compari di un tempo.
Sul banco degli imputati (metaforicamente: in realtà, collegato in videoconferenza da un carcere di massima sicurezza) c'era Marcello Filippo Tutino, appartenente alla famiglia mafiosa di Brancaccio. Un comprimario, nell'organizzazione della strage, secondo lo stesso Spatuzza. Ma strada facendo il processo a Tutino ha assunto un significato rilevante, soprattutto perché per la prima volta si celebrava a Milano un processo per il delitto più grave ed oscuro commesso in città nell'ultimo quarto di secolo. Il processo principale per la strage di via Palestro, infatti, venne condotto a Firenze, per connessione con l'altro attentato degli stessi giorni, la bomba in via dei Georgofili, e si concluse con la condanna della Cupola di Cosa Nostra, con in testa Totò Riina. A fare da sponda al nord ai progetti stragisti di Riina furono, secondo il processo di Firenze, i fratelli Graviano, boss del rione Brancaccio con robusti agganci operativi a Milano.
Il nome di Tutino è saltato fuori molti anni dopo, e ha dato vita all'inchiesta bis milanese, condotta dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Paolo Storari. A oltre vent'anni dalla notte di luglio in cui la bomba nascosta in una Punto davanti al Padiglione d'arte contemporanea ammazzò tre pompieri, un vigile e un senzatetto, l'inchiesta ha dovuto muoversi con fatica nella ricostruzione del perché di quel massacro. In aula, Spatuzza ha ribadito che Cosa Nostra non voleva fare vittime: «L'obiettivo in via Palestro e in via dei Georgofili a Firenze erano i monumenti, non le vite umane. Quello che avvenne erano conseguenze non cercate». Ma sui motivi di quell'attacco al patrimonio artistico, compreso un obiettivo poco noto al grande pubblico come il Pac di via Palestro, né le dichiarazioni di Spatuzza né le altre testimonianze di pentiti hanno dissipato la nebbia di incongruenze che avvolge quella stagione.
Nella requisitoria con cui aveva chiesto l'ergastolo per Tutino, il pm Storari aveva detto che l'attacco a via Palestro rientrava «nella più ampia strategia stragista che andava da Capaci, passando per via D'Amelio, via dei Georgofili, l'attentato a Maurizio Costanzo e il fallito attentato allo stadio Olimpico».
Per Tutino, indicato come il basista che rubò la Fiat da imbottire di esplosivo, il pm aveva sostenuto che «le accuse di Spatuzza sono attendibili e riscontrate», e il Comune, che si era costituito parte civile, aveva chiesto la condanna. La Corte d'assise è stata di diverso avviso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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