Paura, ma anche rabbia per l'etichetta ricevuta. In fondo a via Celoria 26 gli studenti hanno preso con sentimenti contrastanti la notizia della morte della loro collega. Flavia Roncalli, 24 anni, è deceduta fulminata dal meningococco due giorni fa. E anche se non si conosce ancora di quale tipo sia, parlare di meningite ha subito preoccupato tutti. E non solo perché è una delle malattie che ancora causano una trentina di morti all'anno secondo l'Asl di Milano, ma anche perché è associata a un luogo come l'università. Migliaia di persone, soprattutto giovani che si incontrano in aule e laboratori. Un posto a cui gli stessi studenti tengono molto, tanto che oltre a piangere la collega stroncata due giorni fa dalla malattia, criticano chi cerca di attaccare al dipartimento di chimica l'etichetta di luogo «maledetto».
L'ansia comunque rimane: la paura ha spinto Davide, dottorando di 25 anni, a chiedere comunque un aiuto al suo medico di base: «Anche se non sono stato a contatto diretto con lei e quindi per i protocolli dell'Asl non avevo bisogno di cure, un po' di preoccupazione resta, per questo ho chiesto al mio medico di prescrivermi la profilassi». Ma tra chi frequenta i laboratori di questo edificio di quattro piani ha preso seriamente la questione, senza però perdere la testa: «Non credo che ci sia molto per cui agitarsi - dice Claudio, 19 anni - ho sentito in mensa alcuni che erano preoccupati per l'esame da fare, ma credo che non ci sia un grande pericolo se si seguono le indicazioni dei medici».
Poi c'è invece chi è più disorientato e arrabbiato per come viene raccontata la questione: «Certo che siamo spaventati e disorientati, esattamente come quando ti muore un amico - spiega Giovanna, 23 anni - io conoscevo tutte e due le ragazze e posso dire che sono state scritte tante cose sbagliate in questi giorni, come il fatto che frequentassero lo stesso laboratorio. O certi racconti: questa è la nostra casa, non c'è nessun laboratorio maledetto né la peste, non penso che ci sia un collegamento, ma che il destino abbia deciso così». Una connessione tra i due casi, così come con episodi simili verificatisi di recente in Toscana, viene esclusa al momento anche dalle autorità sanitarie. Intanto gli studenti non dimenticano anche la difesa dell'edificio e di quello che per loro rappresenta. In tanti ripetono che «qui non c'è la peste» o frasi affini: non hanno gradito che il luogo in cui incontravano le due colleghe sia raccontato come «maledetto», un'etichetta che rifiutano con decisione.
Senza dimenticare la paura come spiega Carla, 20 anni: «Resta l'ansia visto che si tratta di una malattia grave, anche se dobbiamo aver fiducia e sperare che vada tutto bene». In tanti non vogliono nemmeno parlare. La paura di vedere un altro ritratto sbagliato del loro dipartimento si affianca a quella per un nemico invisibile che nessuno ha ancora capito dove sia.MBon
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