(...) pubblica in quanto «insufficiente a soddisfare il fabbisogno con conseguente riduzione dellofferta formativa». Nel ricorso i sindacati rimarcavano come, pur essendosi iscritti alle scuole elementari di Milano e provincia 1.923 bambini più dellanno precedente, il decreto riducesse del 3,21% il numero degli insegnanti. Oltretutto, secondo i sindacati, il decreto non teneva conto della particolare situazione di Milano, dove il ricorso al tempo pieno è quasi generalizzato: «e dunque sia in proporzione necessario un numero maggiore di insegnanti per fare fronte a questa specifica esigenza». In questo modo sarebbe stata violata anche la norma «in base alla quale a ogni classe a tempo pieno devono essere garantiti due insegnanti, poiché i docenti assegnati sarebbero insufficienti a garantire la relativa offerta formativa».
Il rischio era quello che si aprisse una «guerra tra poveri»: visto che il numero di maestre assegnato alla Lombardia è stabilita a livello centrale, aumentare il numero dei maestri a Milano vorrebbe dire inevitabilmente ridurre gli insegnati assegnati a Mantova o a Sondrio. Il Tar non ha ritenuto che fosse necessario coinvolgere nel giudizio anche le altre realtà scolastiche. Ma il tema è rimasto comunque - e continuerà a farlo - sullo sfondo dellintera vicenda: perché in tempi di vacche magre e di tagli alla spesa, la coperta diventa inevitabilmente troppo corta. E se si tira da una parte, si scopre dallaltra.
Sindacati e genitori hanno avanzato comunque il loro ricorso, in nome della difesa della qualità della scuola pubblica: ma il Tar ha dato loro ragione, in realtà, solo per un cavillo formale. Il provvedimento della direzione regionale infatti era stato emanato prima che il ministero pubblicasse ufficialmente la distribuzione dei maestri tra le varie regioni italiane.
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