Torre Galfa occupata da alcuni gruppi di artisti

Trentuno piani per 106 metri di altezza, in zona Garibaldi, da anni è in disuso. Per Giò Ponti era "uno spettacolo". L'immobile appartiene al gruppo Ligresti

Torre Galfa occupata da alcuni gruppi di artisti

Occupata la Torre Galfa di Milano, un palazzo di una trentina di piani da tempo in disuso in zona Garibaldi. A compiere il gesto dimostrativo una cinquantina di persone, lavoratori del settore dell'arte e dello spettacolo provenienti da varie parti d'Italia. L'obiettivo dei manifestanti è ambizioso: dare vita a un nuovo spazio di sperimentazione artistica.

Diverse le sigle degli occupanti: Lavoratori dell’Arte, Teatro Valle Occupato e Cinema Palazzo di Roma, Sale Docks di Venezia, Teatro Coppola di Catania, Asilo della Creatività e della Conoscenza di Napoli, Teatro Garibaldi Aperto di Palermo. Il palazzo occupato è alto 106 metri e si trova tra via Galvani e via Fara. "Abbiamo scelto la Torre Galfa - spiega Camilla, dei Lavoratori dell'arte - perché è un esempio di uno spazio male utilizzato e mal gestito. Il palazzo è abbandonato da anni".

L’immobile dovrebbe essere tuttora proprietà della Immobiliare Lombarda del gruppo Ligresti: Fonsai lo rilevò nel 2006 dalla Banca Popolare di Milano per 48 milioni di euro. I lavori di ristrutturazione sarebbero dovuti partire l’anno scorso, ma la torre, riferiscono i manifestanti, è tuttora vuota e senza segni di ristrutturazione in corso.

La Torre venne ultimata nel 1956 ed è firmata dall’architetto Melchiorre Bega. La pagò la compagnia petrolifera Sarom, poi il palazzo passò alla Bpm. Secondo Giò Ponti era "uno spettacolo che con la sua altezza arricchisce lo spettacolo dell’architettura di Milano". Si vede nel film "La vita agra", di Carlo Lizzani, tratto dall'omonimo romanzo di Luciano Bianciardi. E' il palazzo che il protagonista, interpretato da Ugo Tognazzi, vuole far saltare in aria, per protestare contro la società che ne è proprietaria, dopo un incidente in una miniera che ha causato la morte di 43 operai.

I Lavoratori dell’arte (www.lavoratoridellarte.org), si legge sul loro sito, "esprimono la convinzione che sia necessario attribuire all’arte e alla cultura lo status di beni comuni.

Il bene comune non è un concetto astratto ma una nuova forma viva di democrazia che mira a superare la dicotomia tra pubblico e privato". Che lo spazio in questione sia inutilizzato e conseguentemente male gestito è indubbio. Resta il fatto che occupare una proprietà privata, sia pure con finalità nobili, è un reato.

 

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