Il «pacchetto» venduto ai clandestini in cerca di sistemazione comprendeva l'assegnazione di una casa popolare. Chiavi in mano. Oltre a documenti falsi, contratti di lavoro finti e matrimoni simulati con cittadini italiani per ottenere il permesso di soggiorno. Il tutto ceduto a caro prezzo agli immigrati da un gruppo che aveva messo su una vera «agenzia di servizi» per entrare e restare in Italia. I finanzieri del Comando provinciale hanno scoperto e fermato questo traffico illecito, arrestando cinque persone.
In carcere sono finiti due italiani, due marocchini e un serbo. Sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e all'occupazione abusiva di case popolari. Altre undici persone sono indagate a piede libero. L'inchiesta è stata coordinata dai pm Francesco De Tommasi e Sara Ombra, mentre la custodia cautelare è stata disposta con un'ordinanza del gip Alessandra Simion.
L'organizzazione aveva un tariffario ben definito. Il prezzo per un contratto di lavoro fittizio, usato poi per chiedere o rinnovare il permesso di soggiorno, era di 1.500 euro.
Spesso i datori di lavoro erano compiacenti e venivano ricompensati, altre volte ignoravano il traffico. Un matrimonio fabbricato a tavolino costava 4mila euro, di cui 400 andavano al cittadino italiano che si prestava al raggiro.
Se l'extracomunitario pagava 10mila euro, veniva invece assistito fin dall'arrivo e l'ingresso in Italia, con tanto di documenti contraffatti.
Il gruppo si era infine specializzato nel trovare casa agli stranieri. Un modo tra l'altro di evitare che rimanessero per strada o finissero nelle strutture di accoglienza pubbliche, dando così nell'occhio. In questo caso le persone che arrivavano a Milano dopo essere sbarcate sulle nostre coste non potevano certo essere i colpevoli diretti delle occupazioni. Impossibile per loro muoversi senza una rete di supporto.
I trafficanti da parte loro conoscevano molto bene il sistema delle assegnazioni, i punti deboli del meccanismo e le sacche di illegalità di alcuni quartieri. Individuavano gli appartamenti liberi dell'Aler (l'ente è estraneo alla vicenda). Si fingevano funzionari dell'Istituto e assegnavano fittiziamente l'alloggio agli immigrati, che non sapevano della truffa e ricevevano persino un falso contratto di locazione.
Il gruppo forzava le porte delle case popolari e le sostituiva con ingressi e serrature nuove.
Ai richiedenti venivano consegnate le chiavi in quella che sembrava a
tutti gli effetti una regolare assegnazione. Per questo pagavano 4mila euro.Nella maggior parte dei casi però le persone arrestate dopo aver incassato una caparra di 2mila euro, fornivano il finto contratto e poi sparivano.
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