Tragedia, humour e un immenso Popolizio «Il nemico del popolo» tra Ibsen e Brecht

Al Piccolo è regista e protagonista di un capolavoro sulle miserie umane

Andrea Bisicchia

La scelta di un classico non può essere occasionale e non deve, soprattutto, essere fatta per soddisfare il botteghino. I classici riescono a parlarci nel momento in cui rispecchiano la nostra contemporaneità. Il successo del Nemico del popolo, premio Ubu come miglior spettacolo dell'anno, fino al 16 Febbraio al Teatro Strehler, è dovuto agli argomenti che tratta che hanno a che fare con l'inquinamento quello che il potere cerca di occultare perché nocivo all'economia. Ibsen scrisse il dramma dopo Casa di bambola e Spettri, i due testi più rappresentati al mondo, e cinque anni dopo Le colonne della società, che Gabriele Lavia portò in scena nel 2013, in una memorabile edizione, dove era evidenziata la domanda, che ritroveremo in Il nemico del popolo, su che cosa si fonda una società? Su libertà e giustizia, risponde Ibsen, perché non può esserci libertà senza giustizia e viceversa e perché, chi mente, diventa schiavo della propria menzogna. Popolizio, che ne è regista, oltre che protagonista immenso, ha scelto, adattandola, la traduzione di Luigi Squarzina che, nel 1948, lo mise in scena per la Compagnia Ricci- Magni, ricorrendo a molti tagli e a un linguaggio che fa convivere lo stile epico di Brecht, con un grottesco di matrice italiana, capace di trasformare la dimensione tragica in una forma umoristica. Al centro dell'azione, c'è un problema di coscienza che si scontra con uno politico. Il medico delle terme di una ridente cittadina, tipo San Pellegrino, ha scoperto, dopo una attenta analisi, come le acque siano piene di milioni di batteri a causa dell'inquinamento prodotto dalle industrie conciarie e, come amico del popolo, vorrebbe informare, anche attraverso la stampa, la cittadinanza del pericolo a cui va incontro. In un primo momento, sono tutti dalla sua parte ma, quando vengono svelate le conseguenze di questa scoperta, si trova tutti contro, a cominciare dal Direttore, suo fratello, che cerca di fargli capire il danno economico che ne conseguirebbe. Il conflitto fra i due si trasforma da emblematico a perenne, perché pone dei problemi di carattere universale, riguardanti il rapporto tra verità e giustizia, tra corruzione e legalità, tra povertà e ricchezza; tanto che, alla fine, sia la coscienza pubblica che la stampa ritengono il dottor Thomas Stokmann, nemico del popolo. Alla maggioranza che Claudio Magris definì «democratica» in una sua traduzione, per una versione realizzata da Edmo Fenoglio nel 1968 con Tino Buazzelli, non importa che le acque melmose avvelenino la vita, perché questa non vale nulla quando deve fare i conti con i mercati e con le forze economiche che li rappresentano. Popolizio ha chiesto a Marco Rossi una scena dinamica, con cambiamenti a vista, con muri di legno che salgono e scendono, creando degli spazi reali e irreali, vividi e spettrali, dentro i quali il regista fa muovere gli attori, utilizzando una comicità a lui cara, tra il grottesco e la caricatura che utilizza soprattutto per i personaggi del suocero e del redattore del giornale, mentre a Maria Paiato offre un ruolo en travesti, che l'attrice non caratterizza, perché sceglie di essere il personaggio più che la persona, in una interpretazione da manuale.

Per sè, Popolizio ha costruito il suo Stockmann come una specie di intellettuale, amante della verità, ma anche come il prototipo dell'antipolitico, l'onesto e puro professionista che finirà per essere la caricatura di se stesso, ovvero dell'uomo, rimasto solo, che ha scoperto di odiare una maggioranza che definisce di imbecilli, perché facilmente manovrabile.

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