Cronaca locale

Tristi storie di donne "cancellate"

In mostra foto dall'Archivio dell'Ospedale psichiatrico di Como

Tristi storie di donne "cancellate"

«Mio caro Carlo, ti prego domenica venirmi a prendere in automobile, poiché io son guarita perfettamente, poiché ho molto desiderio di vedere il mio Carlo bello, che non dimentico mai». Firmato: «la tua Enrica», 5 maggio 1922. Peccato che quella domenica, e quell'automobile, non arrivarono mai, e il «gentilissimo Carlo, bello e biondo» sarebbe rimasto poco più che un ricordo, una parvenza di angelico liberatore nelle fantasie di una donna attanagliata dal male di vivere e, per questo, finita in manicomio. Con lei le tante altre protagoniste, loro malgrado, di «Donne cancellate. Fotografie di Gin Angri dall'archivio dell'Ospedale psichiatrico San Martino di Como (1882-1948)», a cura dell'associazione Oltre il Giardino, che dopo il successo autunnale nel capoluogo lariano fa tappa a Milano, Università Bicocca (edificio U6, Sala Rodolfi), fino al 20 maggio, nell'ambito del PhotoFestival. La mostra-reportage parte dall'analisi minuziosa di oltre 40mila cartelle dell'archivio dell'ex ospedale psichiatrico comasco di San Martino, un apparente «locus amoenus» di fine Ottocento immerso nel verde di curati giardini ornati di belle fontane. Negli scatti di Gin Angri la capacità di analisi della fotografia si mette al servizio dell'indagine su un passato scomodo, senza fare sconti e, anzi, indugiando sui particolari in grado di trasmettere emozioni forti e suscitare interrogativi. Fotografie, ma anche lettere -rigorosamente passate al vaglio di una censura implacabile-, appunti, memorie e cartelle cliniche, con tanto di rilievi antropometrici e descrizioni sintetiche che più di ogni altra cosa restituiscono l'atmosfera di un dramma lungo quasi settant'anni.

«Mentecatte, deficienti, idiote, irrispettose, isteriche, smorfiose»: storie di ordinaria normalità scambiata per follia e curata a colpi di elettroshock, insulina, restrizioni della libertà, negazioni dei rapporti umani, isolamento, umiliazioni e vessazioni di ogni genere. C'è Teresa, affetta da «pazzia morale». C'è Maria, depressa e forse preda di una grave forma di anoressia, morta tra incomprensioni e indifferenza pochi anni dopo l'internamento. C'è Liliana, una tredicenne placata con cardiazol, farmaco capace di dare l'impressione di una morte imminente, e iniettata di sangue malarico. O la coetanea Carolina, ricoverata durante la Grande guerra con una diagnosi di «demenza precoce». C'è Eloisia, tra le rare donne allora laureate in economia, facile a esaurimenti e depressioni, proprio come Chiara. Ci sono anche storie un po' meno tristi: come quella di Angela, dichiarata guarita e dimessa dopo alcuni mesi. Ci sono gli spazi squallidi e vuoti, i dettagli di vita sofferta: occhi trasognati e smarriti, angoli di stanze o bagni, oggetti dimenticati, stralci di relazioni mediche. Quello che sembra mancare, senza appello, è il senso della dignità umana che la fotografia cerca, almeno in parte, di ricostruire. Orari: lunedì-venerdì 8- 21.30, sabato fino alle 13.30.

Ingresso libero.

Commenti