«Troppi i grossisti irregolari» Stop al trasloco di Chinatown

La Regione non si fida dei dati forniti dalla comunità cinese

È un mondo a parte, quello di Chinatown. Zona franca cresciuta attorno a Paolo Sarpi, abitata esclusivamente dai cinesi. Un mondo a parte, dove si mangia cinese e soprattutto si lavora e si vive con regole che non sono quelle italiane. Terra di nessuno, dunque, in cui chi tenta di dare una regolata riceve in cambio la riconferma dell’illegalità.
Già, sfogliando le 311 schede di «censimento» dei grossisti cinesi disponibili alla delocalizzazione nell’area dell’ex Alfa di Arese si scopre che 176 non sono «neppure identificabili». Come dire: incrociando i dati forniti agli uffici della Regione Lombardia con gli archivi della Camera di commercio o del Comune o del fisco si delinea una grave situazione di illegalità diffusa. «Delle 311 matrici consegnate alla Regione - per avere a disposizione i dati necessari al volume dell’attività, superficie e fabbisogni logistici - solo 102 risultano grossisti iscritti alla camera di commercio» chiosano dal Pirellone: «Ma lo spoglio delle matrici riserva pure un’altra sorpresa, 33 schede sono state compilate non da grossisti bensì da dettaglianti. Si mescola, quindi, la vendita all’ingrosso con quella al dettaglio. E, ancora, i dati forniti relativamente ai dipendenti (387) attualmente in servizio in quei negozi sono, diciamo, “non verosimili”».
Esito di un censimento che, senza forse, rende «problematico il ruolo della Regione ovvero di garante del processo di delocalizzazione nei confronti dei Comuni interessati» fanno sapere dagli uffici di via Fabio Filzi. Non è un mistero, infatti, che le amministrazioni comunali di Arese, Garbagnate e Rho sono ben disposte al trasloco dell’ingrosso di Chinatown ma solo perché accompagnato «dalla massima attenzione per i territori coinvolti sia per quanto riguarda l’accessibilità che per la sicurezza e l’integrazione».
Garanzia che l’amministrazione Formigoni evidentemente (ri)sottoscrive ma solo in presenza di un censimento che non confermi «l’illegalità». «Impossibile pensare di effettuare il trasferimento da Sarpi all’ex Alfa, senza avere dati certi che quantifichino l’attività commerciale svolta, basandosi unicamente sulle esose richieste della comunità cinese» commenta Davide Boni. Valutazione dell’assessore regionale al Territorio, che «per quanto riguarda la delocalizzazione» rimarca la necessità di «trattare solo con coloro che hanno dimostrato di essere in regola con le nostre leggi e che sono regolarmente iscritti agli elenchi previsti». E gli altri? «Non ci sono margini di trattativa perché chi svolge in modo irregolare la propria attività di grossista non ha diritto di usufruire di alcuna area».
Difficile dar torto alla Regione che dalla verifica delle 311 schede di censimento - richieste, ricordiamo, dal tavolo con la delegazione dei commercianti di via Sarpi - scopre una richiesta di 68.397 metri quadri di superficie per le attività contro 28.940 attualmente occupati. Impossibile poi valutare sia i dati sulla movimentazione delle merci che delle persone gravitanti sui 70mila metri quadri in quel di Arese poiché questi dati non sono stato consegnati seppur richiesti. Che aggiungere? «Non resta, a questo punto, che valutare insieme alle Istituzioni coinvolte se e come procedere».

Chiamata in causa del Comune che, evidentemente, vorrebbe spostare il problema Chinatown fuori da Milano e al più presto possibile, ma, annota l’assessore comunale Tiziana Maiolo, «questa gente si deve rendere conto che deve rispettare le regole e avere gli stessi diritti e doveri dei milanesi».

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