"Vado missionario a Cuba L'alcol peggio delle donne"

Il sacerdote: «Il rum a basso costo è uno dei drammi maggiori, a Santiago non ho visto turismo sessuale»

"Vado missionario a Cuba L'alcol peggio delle donne"

Dici Cuba e pensi alla Baia dei Porci, a Fidel Castro o a Che Guevara nei cinquant'anni della morte, per restare nella prima parte dell'immaginario caraibico. «Fino ad agosto, quando sono andato a conoscere il luogo, era anche l'idea che avevo io, con in più i ricordi dei viaggi dei tre Papi, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco» racconta don Marco Pavan, 43 anni, parroco a Legnano, che stasera sera in Duomo riceverà dall'arcivescovo Mario Delpini il mandato missionario per andare a Cuba insieme ad altri due sacerdoti, don Ezio Borsani di 61 anni e don Adriano Valagussa di 67 («il più coraggioso di tutti, alla sua età, a cambiar vita così»).

In più, don Marco aveva i racconti di qualche amico che era stato in vacanza lì e poco altro.

Adesso potrebbe restare dodici anni a Santiago, 850 chilometri dall'Avana, a curare una parrocchia di centomila abitanti. Come è potuto succedere?

«Ero prete a Legnano, mi occupavo di oratorio e scuola, ero contentissimo di quel che stavo facendo e mi piace quel che faccio. Non ho sempre avuto questo desiderio, me ne sono reso conto da poco. È nato tutto alla celebrazione penitenziale in Duomo del 4 novembre 2016».

È stato colto da un turbamento improvviso?

«È successo che alla fine il cardinale Scola ha dato un avviso: l'arcivescovo di Santiago di Cuba gli aveva chiesto la disponibilità di sacerdoti e poiché non si era offerto nessuno, sarebbe stato costretto a rispondere no. Sono rimasto choccato, perché noi ci impegniamo all'obbedienza, il vescovo aveva chiesto una cosa e nessuno aveva risposto di sì. Tornando a casa, ho scritto a don Capra e da lì è partito tutto».

Che significa andare a Cuba come fidei donum, ovvero dono della fede?

«Vuol dire lasciare tutto quel che sto facendo per essere un dono per la Chiesa in cui vado ma anche per la Chiesa che manda perché tornerò arricchito da un'esperienza diversa. A Cuba ci sono tanti battezzati ma anche non battezzati che vivono il sentimento della fede».

Cuba è anche una meta di viaggi di piacere, a volte a sfondo sessuale. Non teme per la sua castità? Ha già pensato a come parlare del tema con i turisti?

«Ad agosto non ho avuto la percezione di un turismo sessuale sfacciato. Non è così evidente come all'Avana, perché Santiago è meno turistica. Non ho paura, nel senso che non è diverso esser a Cuba o in Italia, perché se uno certe fatiche le vive, le vive ovunque, e se è fedele, è fedele ovunque».

Qual è la priorità che crede di dover affrontare, in base al suo primo viaggio?

«L'alcolismo, perché il rum costa pochissimo. E poi l'attività di catechesi, formazione e coordinamento delle comunità. Ogni parrocchia, come in tutta l'America Latina, è divisa in piccole comunità. In ogni comunità c'è un catechista, fanno una preghiera domenicale e se c'è un tabernacolo in cui custodire l'Eucaristia i fedeli ricevono la comunione. La Messa non si celebra tutte le domeniche ma quando passa il sacerdote, in alcuni luoghi una volta al mese. Cuba ha 300 preti di cui 150 stranieri su 11 milioni di abitanti».

Come e quando ha sentito la chiamata al sacerdozio?

«Sono entrato in seminario nel 1997, stavo finendo l'università, matematica a Milano. Ho letto alcuni segni, tante piccole cose che sono state un filo rosso».

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