Al Dal Verme le magie di Arvo Pärt

Se qualcuno si è preoccupato per il compositore Carlo Galante, teoricamente in pericolo di essere messo in ombra da un gigante come Arvo Pärt, poi è stato smentito dai fatti musicali. Alla fine del primo recital dei tre previsti - il giorno della prima - si è persino visto il maestro estone discutere con lo stesso Galante, fargli i complimenti riguardo al suo concerto per due pianoforti e orchestra. Serate e pomeriggi di applausi al Dal Verme e fuori città, con una scaletta sopraffina portata avanti con sapienza dal direttore Carlo Boccadoro, dai solisti Luca Schieppati e Andrea Rebaudengo e dai Pomeriggi musicali.

Stravinskij a parte, i fari erano accesi sui nuovi lavori, in sequenza: i «Racconti di pioggia e di luna» e «Greater Antiphons». La partitura galantiana con inquiete e cupe descrizioni notturne, suspence cinematografica quasi che in sala si approssimasse qualcosa di sinistro. Orchestrazione raffinatissima, equilibrata, con solidi paletti per non far prevalere gli «attori» (i due piani e l'ensemble). Ritmi e improvvisi spiragli lirici dalle atmosfere nordicamente romantiche.

Lavoro enciclopedico germinato su un terreno culturale a dir poco vasto. Poi la star, tutti davanti a Pärt: ormai aspetto da monaco, uno dei più eseguiti al mondo. Ovazioni alla sua sola comparsa. La mente di molti è andata al suo «Tabula rasa», punto di riferimento. Anche il nuovo brano rovescia gli animi, porta pace e distende.

Momenti di spiritualità e bellezza dei colori: in «Greater Antiphons» compaiono con accordi aperti, spazializzati, come corali, una visione organistica offerta da una formazione di soli archi. Mistica e magia. E il tempo si ferma. Non si sbaglia a dire, tra il serio e il faceto: «Un mondo a Pärt».

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