Basta darsi un'occhiata in giro. Hanno già cominciato a uscire dal panorama urbano, a svanire dai marciapiedi di cui erano diventate ospiti fisse e vistose (e talvolta ingombranti). Più delle notizie di Borsa che arrivano dall'America, a fare temere che anche l'avventura delle bici gialle di Ofo sia arrivata al capolinea è la visibile sparizione dei velocipedi. E se si apre sul telefonino la app di Ofo alla ricerca del mezzo più vicino, appaiono solo poche, malinconiche icone a segnalare la presenza di una bicicletta.
Pochi giorni fa, d'altronde, il Financial Times aveva intonato una sorta di de profundis per l'impresa: «Siate preparati alla bancarotta o a un'acquisizione», avrebbero fatto sapere i manager ai dipendenti. L'azienda fondata da Dai Wei avrebbe bruciato in due anni oltre due miliardi di dollari e avrebbe ora un «immenso problema di fondi».
Alti e bassi della «new economy», si potrebbe dire: se non fosse che i guai di Ofo sono solo gli ultimi segnali di una crisi profonda del sistema dello sharing, specie nelle sue forme più ardite. La mobilità condivisa, presentata legittimamente come valido rimedio alla congestione urbana, e divenuta rapidamente icona del «politicamente corretto», si sta scontrando con i prosaici problemi della sostenibilità economica. E le conseguenze sembrano dare ragione a chi considerava alcune forme di sharing una sorta di utopia. È vero che ci aveva provato già Paolo Pillitteri nel 1986, quando aveva lanciato sulle strade milanesi le bici gialle a libero utilizzo: finì male, ma l'idea aveva una sua portata provocatoria e un po' situazionista che nobilitava l'operazione.
Qui, invece, si trattava solo di business: un business, s'è visto, con le ruote di argilla. Si sono arrese una dopo l'altra società di auto condivise (Twist, Share'n go), di motocicli condivisi (Enjoy), di biciclette condivise. Tra le bici resiste l'antesignana, Bikemi, solida come le sue rastrelliere cui le bici devono essere obbligatoriamente riportate. Ma il progetto del free flow, fatto di bici prese e lasciate senza vincoli, presentato appena un anno e mezzo fa come nuova frontiera della libertà urbana, sta affogando sotto il peso del vandalismo, dei furti, degli abusi. I guai di Ofo stanno per ora portando ossigeno all'altro operatore, Mobike, che in questi giorni vede salire robustamente il suo monte ore di mezzi noleggiati.
Ma sul lungo periodo è difficile immaginare che i costi di gestione rivelatisi insostenibili per Ofo non mettano in discussione anche il modello di business del suo concorrente. I manager sottolineano giustamente che la grande maggioranza degli utenti si comporta in modo urbano e rispettoso: ma a portare Ofo sull'orlo del baratro è bastata la minoranza degli incivili.
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