Viaggio nella città del fumo dove nascevano le "bionde"

Oltre tre secoli di Manifattura tabacchi da via Moscova a Fulvio Testi Le sigarette hanno lasciato il posto a un museo e a una scuola di cinema

Viaggio nella città del fumo dove nascevano le "bionde"

Il giorno che ci ha rimesso piede, la Pina ha pianto. L'ultima volta era uscita da lì più di tre lustri prima. E non ci era mai più voluta tornare. Evitava perfino il quartiere. Neanche fosse la peste. O la tana del demonio. E quando l'Alberto - che di professione, dopo essere stato operaio, faceva suo marito - le proponeva di portarla a spasso là per rispolverare l'album dei ricordi, lei nicchiava. S'ingrugniva. Improvvisamente intristita. Allora lui cambiava programma e lei tornava a sorridere. La Pina aveva un'età, ormai. E, con i capelli bianchi, la nostalgia gioca tiri maldestri.

Alla Manifattura tabacchi ci era entrata ragazzina. Con un pugno di sogni in tasca, alla fine degli anni Cinquanta. Quelli della ricostruzione. E ne era uscita col magone. Un vitalizio in borsa. E la fine di una favola che coincideva con il tramonto di un millennio. Ci era cresciuta, là dentro, la Pina. Si era sposata. Aveva fatto due figli. Ci aveva lavorato, ma questo non l'aveva mai impensierita. Tutt'altro. Era quell'avventura che si chiamava vita. E, in quell'addio, sembrava morire con lei.

Lacrime spuntarono, nell'atrio, davanti a quello schermo. A quelle voci un po' così. Familiari. Rotte dall'emozione di quei tempi andati. La Manifattura ha cambiato nome. E di foglie di tabacco, là dentro, non ne entrano più. Oggi c'è un museo di cinema. Una scuola di recitazione. Insomma, è una piccola Cinecittà alla milanese, che ha voluto rendere omaggio al suo passato. Ha invitato i suoi reduci. Donne che hanno incartato sigarette per decenni. I tabacchini.

E la Pina ha dovuto rimetterci piede. Perché pareva brutto non farlo. Ci era entrata suo malgrado. Con gli occhi rossi. Si è ritrovata una cuffia in testa. E in mano un cellulare di ultima generazione. Una roba strana, diceva lei. Risentire vecchi rumori. Rivedere gli stanzoni dove si cambiava. Dove tirava via la costola senza rompere la foglia. Altrimenti la maestra urlava. Tosanett, fasen andà i man , gridava secca. Fin quando toccò a lei sorvegliare che i tosann facessero il loro lavoro. Ossia, ogni giorno 2400 bionde per una squadra di trenta ragazzine svagate che cantavano tutto il santo giorno. Chiacchieravano. E si davano di gomito se vedevano passare un bellimbusto.

La chiamavano maestrina, quella che oggi sarebbe la caporeparto. Era la carica più alta di una carriera al femminile. Oltre, non si andava. E quel nome sapeva di beffa. Anche se non lo era. Tuttavia aveva un fascino quella fabbrica del fumo. Dove le donne avevano conquistato il diritto alla sigaretta prima del voto. E dove era proibito fumare, tranne in mensa. Ma dove tutti se ne accendevano una e nessuno diceva niente. Perché dovunque ci si girasse c'era una stecca pronta.

Aveva un fascino unico perché precorreva i tempi. A metà del Novecento vantava ciò che nessuna azienda aveva. E, a conti fatti, nemmeno oggi ha. Una mensa. Una sala materna che ora si chiamerebbe nido. Un asilo. La bocciofila. Una chiesa. Perfino la sartoria. C'era spazio per tutto, laggiù in Fulvio Testi al 121. Ai margini della città. E ancora di più ce n'era nella sede precedente dove ai dipendenti venivano affidati perfino appartamenti. Un monolocale per chi era solo. Alloggi più ampi se si aveva a carico pure la famiglia. E si finiva così per abitare nel cuore di Milano a costo zero.

Oggi, di quello stabile tra il 22 e il 28 di via della Moscova, non è rimasto più nulla. L'ha sventrato una delle bombe del '43. E mai più fu ricostruito. Prima che vi entrassero tonnellate di tabacco era un convento. E Ferdinando II lo rispettò. Da oltranzista ultra cattolico, quale egli fu, si guardò bene dal toccare l'ordine, benchè certo non gli mancasse l'autorità. Assolutista ma non spietato, uomo buono e padre esemplare, l'imperatore d'Asburgo pretendeva di imporsi sui protestanti e serviva sua madre Chiesa. Istituì la Regalia del tabacco, non minacciò i Carmelitani scalzi che là si erano trasferiti nel Cinquecento e di lì a qualche settimana morì in pace. Sua. Ma non europea. Era il 1637. E la guerra dei Trent'anni, innescata proprio da lui, infuriava ancora.

A dare un tetto al fumo milanese fu un edificio a pochi metri da lì, proprietà dei conti Casati, che nel canone d'affitto pretesero 18 libbre di quello da fiuto. E venne Giuseppe II, nipotino di Ferdinando per parte di mammà e sovrano illuminato. Ma poco pio. Tanto che soppresse i Carmelitani, ne confiscò i beni e ci mandò i «fumatori», che lì rimasero. In saeculorum saecula . Correva l'anno del Signore 1780. E ne passarono 160 prima che le bombe sfrattassero le bionde.

In Fulvio Testi la Manifattura arrivò nel dopoguerra, ma già nel '27 i locali di via della Moscova avevano dato segnali di inadeguatezza e già allora il Demanio acquistò i terreni dalla Società anonima quartiere industriale Nord Milano. Nel '39 si comprò pure il binario del treno perché più comodamente fossero scaricate le forniture. Poi, dopo la guerra, fu l'ora del trasloco.

E proprio in quegli anni di lenta ripresa che si sarebbe trasformata nel Boom economico, la Pina, all'epoca poco più che una ragazza, iniziò a cercar lavoro. Ma non marito. Per il primo poteva bastare un concorso, il secondo era più complicato. Lei però, vincendo la gara, avrebbe trovato l'uno e l'altro. Ma, quel giorno, non lo sapeva. Perché l'Alberto era un «collega», per così dire. Scaricava le botti di Kentucky. Lavori di fatica. Riservati ai maschietti. Lei invece incartava sigarette. Più manuale. Meno impegnativo. Adatto anche a chi era incinta. E la Pina non aveva smesso neanche col pancione.

Come mai trovasse innaturale staccarsi dal lavoro, le sue coetanee non lo avevano mai capito. La verità è che si era innamorata. In tutti i sensi. Delle mansioni. Del luogo. E di chi vi stava dentro. Insieme si sentivano una squadra unica, di quelle che corrono per vincere. Confezionavano Nazionali e Ms. E quando si ritrovarono queste ultime a chiare lettere su un bolide di Formula 1, sembrò anche a loro di sfrecciare a tutta birra sulle strade della vita. Negli anni Ottanta, l'Osella di Eddie Cheever non era macchina da primi posti, eppure era sempre in griglia. Piena di grinta. Come loro, che l'azienda non l'avrebbero mai lasciata. Ma avevano dovuto. A fine millennio, l'automazione sostituiva gli uomini. E fu l'addio. Ecco perché quel giorno la Pina piangeva.

«Fabbrica fantasma - Viaggio in realtà aumentata dell'ex Manifattura tabacchi» è il film multimediale realizzato dai ragazzi della Civica scuola di cinema, diretta da Laura Zagordi, che ha sede nell'ex stabilimento.

Presentato come esperimento a Milano film festival, permette di rivivere una giornata del '55 nella fabbrica, osservando - attraverso un filmato sul telefonino e i rumori da ascoltare in cuffia - quanto vi avveniva quotidianamente. Il progetto verrà replicato.

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