Cronaca locale

Vigilessa cacciò i rom: nessun razzismo

Ha sgomberato dall'androne del suo palazzo tre zingari sospetti: «Un suo dovere» secondo il Tar

E adesso il vigile Barbara riavrà la sua pistola: e insieme alla pistola la divisa e il suo lavoro. Le verrà tolta l'etichetta di vigile-rambo, e magari anche razzista, che le era stata cucita addosso, evidentemente con troppa fretta, per avere bloccato tre rom nell'androne del palazzo dove lei stessa abita. Per le parole irriguardose rivolte al gruppetto di nomadi, la vigilessa era finita sotto accusa da parte dei vertici del corpo della Polizia locale di Milano. Dopo il ritiro della pistola d'ordinanza, era intervenuta la Prefettura che nel settembre dello scorso anno le aveva tolto la qualifica di agente di pubblica sicurezza. D'altronde, come si può tollerare che un razzista giri armato e in divisa per Milano?

Peccato che non fosse vero. E che quel giorno Barbara avesse fatto unicamente il suo dovere. Lo scrivono i giudici del Tar della Lombardia nell'ordinanza con cui mercoledì scorso hanno annullato il provvedimento assunto nei confronti della vigilessa, spiegando che tutelare la proprietà privata dalle incursioni di potenziali ladri - qualunque ne sia l'etnia - è un diritto. Se uno di mestiere fa il pubblico ufficiale, questo diritto diventa addirittura un dovere.

Si legge nella sentenza che «il provvedimento è stato adottato sulla base di una nota inviata dal comandante del corpo di Polizia municipale dalla quale emergeva che l'agente avrebbe proferito gravi minacce nei confronti di persone di etnia roma, mentre entravano nel palazzo ove ella risiede. Tale comportamento avrebbe creato dubbi sulla sicura affidabilità dell'agente nell'uso dell'arma ad essa attribuita».

«A quanto è dato arguire dal provvedimento impugnato la reazione, anche se energica, a tale evento non appare di per se ingiustificata, essendo consentito difendere i luoghi di abitazione privata da ingressi non autorizzati, purché ciò avvenga con comportamenti leciti e proporzionati alla concreta situazione di pericolo. Secondo il prefetto tali limiti sarebbero stati travalicati in quanto la ricorrente avrebbe indirizzato agli intrusi minacce talmente gravi da far ritenere venuta meno la sua affidabilità nell'uso dell'arma detenuta per ragioni di servizio». Ma «dalla motivazione del provvedimento nulla trapela in ordine a quali sarebbero state le espressioni minacciose nè si possono evincere le concrete circostanze in cui esse sarebbero state pronunciate».

Pistola e distintivo da «ghisa» vanno dunque restituiti a Barbara, insieme ai soldi tolti dallo stipendio: «il Comune di Milano procederà a ricostruire la posizione economica e giuridica in cui la dipendente si sarebbe trovata qualora tale qualifica non fosse venuta meno».

Commenti