E vabbè che messi alla prova, davanti a un calice di Cabernet Sauvignon e a uno di Tavernello, molti clienti non saprebbero cogliere la differenza. Ma l'accusa che la Procura della Repubblica muove a carico di sette nomi importanti della ristorazione milanese è comunque infamante: perchè rifilare vino farlocco è comunque, e da sempre, la colpa peggiore che un oste possa commettere. Ma il pubblico ministero Nicola Balice non ha dubbi: quello che veniva servito ai clienti dell'«Aurora», dei «Binari» e del «Tombon de San Marc» aveva effettivamente l'etichetta del Sauvignon, il sigillo di garanzia del Sauvignon, la capsula. Tutto, tranne l'uva. Perché in realtà era un qualunque vino della provincia veneta, imbottigliato chissà dove e spacciato come prodotto di uno dei vitigni più nobili che Bacco abbia creato.
L'inchiesta è approdata a conclusione ieri, con la richiesta di rinvio a giudizio spiccata dal pm Balice nei confronti dei titolari del pub di via San Marco, dei due ristoranti di Porta Genova e di altri due locali assai noti, il «Grand Italia» di via Palermo e la «Taverna Gasparotto», nella via omonima accanto alla Stazione Centrale.
Le accuse sono di frode in commercio e contraffazione di marchi, cui si aggiungono ipotesi di violazione alle norme igieniche e sul lavoro nero, a causa di altre irregolarità - anch'esse decisamente disdicevoli - emerse durante i controlli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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