«Lo vollero da Milano, simbolo del buon gusto»

Padre Emilio Zanetti, che impatto ha avuto il milanese Castiglione in un luogo chiuso come la Città proibita?

«La Città proibita era il luogo in cui ha lavorato ogni giorno per 51 anni sotto tre imperatori: ne ha dipinto alcuni interni nelle stanze della parte settentrionale. I palazzi progettati da Castiglione sono quelli in stile occidentale nell'Antico Palazzo d'Estate, un complesso di giardini e palazzi nella periferia nord occidentale di Pechino».

Perché l'imperatore ha voluto a corte proprio un milanese?

«L'imperatore Qianlong voleva un esempio di eleganti giardini e costruzioni occidentali che potessero arricchire ancora di più le sontuose proprietà imperiali. Castiglione era a capo di un team di esperti provenienti dall'Europa, tra i quali il gesuita francese Michel Benoist. Provenendo dal mondo artistico italiano che aveva vissuto il Rinascimento, Milano insieme a Genova, Firenze, Venezia, Roma era tenuta in alta considerazione. E come per i cinesi di allora, oggi Milano è sinonimo di buon gusto, raffinatezza artistica ed eleganza».

Uno dei suoi pezzi più particolari sono i cavalli emaciati. Un gusto importato dall'Europa o un riferimento a episodi biblici?

«Ci sono varie teorie sulla presenza dei cavalli emaciati, sia nel dipinto «Otto cavalli» sia nei «Cento cavalli». Sebbene lui non si sia mai lamentato di nulla, probabilmente una certa solitudine e sofferenza si è espressa nella sua arte e in questi cavalli magri. Un teologo cattolico taiwanese ci ha espresso l'idea che questi cavalli indicano la morte, tipo quella di Gesù, attraverso cui si deve passare per giungere alla risurrezione, rappresentata dagli altri cavalli. Abbiamo sentito una teoria legata ai cavalli dell'Apocalisse. In questo senso Castiglione avrebbe potuto usare i propri dipinti per far passare messaggi appartenenti alla tradizione biblica».

Oggi la sua fama in Cina è enorme, tanto che qualcuno la paragona a quella di Leonardo. Un'esagerazione o è realtà?

«Io non ci credevo e quando il mio amico Jerry Martinson ha avuto l'idea e mi ha proposto questa produzione, non ne ero convinto. «Chi guarderà un documentario su un artista straniero?» mi dicevo. Poi ho scoperto la mia ignoranza: una delle nostre assistenti ci ha portato i libri di testo dei suoi figli, delle elementari e delle superiori. In entrambi Castiglione era menzionato in lungo e in largo. Il giorno dopo un esperto di aste cinesi mi mostra i prezzi delle opere di Castiglione: dipinti che hanno superato i trenta milioni di euro, e che ora risultano incedibili perché considerati tesoro nazionale. «Incredibile!» mi sono detto: tutti a Milano e in Europa lo devono sapere».

Ci spiega in che senso un artista di corte può anche essere stato missionario?

«In Cina era praticamente impossibile fare proselitismo. C'era chi entrava usando la strada della scienza, come Matteo Ricci, Adam Schall von Bell e Ferdinand Verbiest (i tre principali missionari gesuiti dell'epoca, da tre diversi paesi europei) e chi attraverso l'arte come Giuseppe Castiglione. Stiamo parlando di personaggi di grande talento. Mentre gli altri tre erano sacerdoti, padri gesuiti, Giuseppe Castiglione era un umile fratello (senza ordinazione presbiterale) la cui missione era l'arte, la pittura e l'architettura».

Castiglione non è stato l'unico occidentale alla corte imperiale. Che cosa lo ha reso unico?

«Il suo apprendimento del cinese non è mai stato molto elevato, ma la sua pazienza nel coniugare chiaroscuro, prospettiva e colori

occidentali con l'inchiostro e la carta di riso orientale lo hanno reso unico. Molti altri artisti sono arrivati a corte ma sono stati poi mandati via perché non avevano grande talento e capacità di collaborazione e adattamento».

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