"Quella volta che ho pagato 450 euro per tre lumache"

Il comico e attore Gabriele Cirilli racconta: "Le presi con mia moglie da un super stellato in Borgogna e per mio figlio cotoletta"

"Quella volta che ho pagato 450 euro per tre lumache"

Gabriele Cirilli, trascinatore del pubblico con il suo show teatrale e storica spalla comica di Carlo Conti in televisione, vive a Vedano al Lambro a due passi dal Parco di Monza. Si racconta a tavola, seduto davanti a un piatto al ristorante «Un posto a Milano» in Cascina Cuccagna.

Lei ha abitato qui vicino per qualche anno.

«Si a poche centinaia di metri, ma non conoscevo questo angolo milanese che sta in centro, ma ti fa sentire subito in campagna».

Milano è la nuova capitale del food?

«Milano è davvero la capitale del food, dalla cucina israeliana, alla griglia di Varrone, alla filetteria, con carni provenienti da tutto il mondo. Ho visto la trasmissione di Alessandro Borghese Quattro ristoranti dedicata a Milano, un'offerta davvero incredibile, purtroppo sono sparite le trattorie milanesi».

Neanche più una?

«Una è rimasta, Arlati, luogo della tradizione. L'altra è in Brianza, dove vivo, l'antichissimo e famosissimo Fossati, tradizione aggiornata, si adeguano rivisitando. Indimenticabile la faraona cotta nella creta».

Non proprio vegetariano...

«Diceva Publio Ovidio Nasone È un crimine caricare la propria tavola della carne degli animali quando si ha un giardino che produce tutti i frutti della terra. Io sono onnivoro e curioso di tutte le cucine, ma una bella bisteccona me la mangio al ristorante argentino vicino a San Vittore. Ma consiglio anche il Nu per chi ama il sushi e in via Padova la Pizzeria Partenopea».

L'imbarazzo della scelta.

«Sono affezionato al mondo culinario, sono stato uno dei primi e ho le prove, a capire la forza della cucina in televisione. Nel 2006/07 partecipai a Chef per un giorno su La 7. Un vip che cucinava e veniva giudicato, presi cinque cappelli. Era una puntata pilota con Anna Falchi, ma non se ne fece nulla, l'idea venne presa da altri».

Che rapporto ha con il cibo?

«Curiosità e amo la semplicità, penso che andare troppo alla ricerca di effetti speciali, snaturi un piatto».

E quindi?

«Prendere formaggio fresco, tagliarlo a dadini o a fette e disporlo sul piatto con salsa di aglio, ruta, coriandolo, sedano e gocce di olio. Sembra una ricetta contemporanea, invece risale a duemila anni fa ed è pure afrodisiaca».

L'autore?

«Sempre Publio Ovidio Nasone, mio concittadino, della splendida Sulmona, grande gourmet come Catullo».

In tournée va alla ricerca delle tipicità?

«Certo, il mio è un mestiere complicato, duro. Se non dai sfogo al palato, come reggi il ritmo. A Bari cerco le orecchiette fatte come si deve, come in Calabria cerco il salume tipico».

Il sapore della sua infanzia?

«Da piccolino, mangiavo in modo sconclusionato. Mi piaceva tanto la cucina della nonna, il ragù abruzzese di castrato cotto tre ore, una pesantezza che durava tre giorni, ma stupendi. Il capretto cacio e ovo, come una carbonara cotta nell'uovo con limone e pecorino. Poi il famoso timballo della nonna, una pasta sfoglia nella quale finiva di tutto: pasta, polpette, verdure, piselli spezie...».

Un bel rapporto con la nonna?

«Mi ricordo persino il movimento che compiva per ammazzare la pasta. Era una danza con le ciabatte che facevano un rumore particolare».

Il profumo che ama in cucina?

«Io e mia moglie abbiamo due diverse concezioni: lei non vuole sentire odori e apre le finestre, io invece adoro i profumi della cucina, fanno casa. Noi abruzzesi siamo felici se l'ospite entra e sente buoni odori».

La tradizione della cucina di famiglia?

«A Sulmona, dove sono nato e cresciuto, i pranzi della domenica erano sempre una festa, alcuni piatti si preparavano la sera prima. L'antipasto era zucchine e melanzane fritte, verdure in teglia, poi spaghetti alla chitarra, gnocchi, bistecche e agnello alla brace. Per chiudere il dolce, lo portava mio padre da Scanno, erano i tipici Parrozzi. Che festa».

Cirilli, lei sta più ai fornelli o a tavola?

«Purtroppo sto poco ai fornelli perché sono sempre in giro, in cucina i mio piatto forte è lo Spaghetto al salmone».

Cosa non smetterebbe mai di mangiare?

«I dolci, anche se rispetto a qualche anno fa, ora mi limito e per fortuna a mia moglie piacciono poco».

Il pranzo o la cena che non dimenticherà mai?

«In Francia, Borgogna con mia moglie da un super stellato. Abbiamo mangiato lumache e mio figlio una cotoletta, il ricordo più forte è il conto: fanno 150 euro a testa per quattro lumache. Non sono andato in bagno per giorni, non volevo privarmene... La mattina successiva ci hanno chiesto se volessimo fare colazione nello stesso ristorante o al Bistrot, abbiamo risposto in coro Al Bistrot».

Il vino cosa le suggerisce?

«La parte che mi aggrada di più, non esiste pranzo o cena se non c'è il nettare divino. In Abruzzo abbiamo grandi vini, tra i più buoni d'Italia: il Montepulciano, il Cerasuolo che non è solo un rosato, ma un uvaggio unico e il Pecorino, un bianco di collina strepitoso. Nel vino voglio riconoscere la mia terra, abbinando tipicità sia nel bicchiere che nel piatto».

Menù tradizionale o innovativo?

«Se la cucina innovativa è troppo ricercata che manco capisci che stai mangiando, molto meglio la tradizione di una buona pasta Alla Norma».

Il suo luogo del cuore?

«L'Abruzzo, quando arrivo a Sulmona ed entro in quella valle, sento sapori e odori miei. Purtroppo non posso viverci, ma Sulmo mihi patria est».

La

cena romantica è un'arma vincente?

«Si, con mia moglie Maria. A lei non piace cucinare, ma le piace mangiare bene e ogni cena è spunto di romanticismo. Ci solletichiamo il palato e poi la cucina è arte per sedurre».

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