«Vorrei che Milano diventasse un orologio svizzero»

Il dg della Eberhard racconta la sua vita tra la Lombardia e Lugano: «La mia passione? Scoprire nuovi ristoranti»

Guai sbagliare ristorante con Mario Peserico. Per questa chiacchierata siamo seduti in un locale scelto dal sottoscritto e l'ospite guarda con sospetto la banale tagliata con scaglie di grana. Peserico, 49 anni, direttore generale dell'azienda orologiera svizzera d'alta gamma Eberhard e ad di Eberhard Italia, va al ristorante quasi 500 volte l'anno (485 nel 2014) e li segna e valuta tutti, quasi compilasse una personale guida Michelin, su quaderni neri.

«Mio padre Pino, scomparso nel 1997, era produttore di Carosello e mi portava fin da bambino a pranzo fuori», ricorda Peserico. «Abitavamo in via Moscova, papà aveva l'ufficio al terzo piano. Venivano Tognazzi, Vianello, Mondaini e molte belle attrici che impreziosivano la pubblicità di allora. Ricordo Annamaria Rizzoli, meravigliosa, che posteggiava la sua Duetto. Andavamo nelle trattorie che adesso non ci sono più. Oggi giro il mondo per lavoro, sto via da Milano circa 200 giorni all'anno, e mi piace scoprire nuovi ristoranti». Se il suo sogno da ragazzo, fare il carabiniere, si fosse realizzato, Peserico avrebbe tutt'al più girato l'Italia, invece è andata diversamente. Studiò lingue, economia alla Bocconi, scienze politiche («ma non mi sono laureato», dice senza rimpianti). Giocava a rugby, scribacchiava di sport e lavorò alla Rai, nella «banda Biagi», sotto la responsabilità di Franco Iseppi («un grande», ricorda con deferenza filiale). Lavorò per la Bols, poi suonò l'ora degli orologi. «Entrai in Eberhard nel 1993. Negli anni successivi l'azienda della famiglia di Palmiro Monti affrontò la crisi generata da Tangentopoli, che ebbe influssi negativi sui brand del lusso», ricorda Peserico. «Ma fu una parentesi, il mercato è tornato a crescere: un orologio di qualità è sempre un buon investimento e l'Italia resta il nostro mercato più importante». L'Italia: più Peserico vede il mondo, più ama il suo Paese. Si lamenta: «Manca il collante dell'orgoglio nazionale. La totale irresponsabilità nei confronti degli altri è il nostro primo problema». Non l'unico: «C'è troppa tolleranza verso il commercio abusivo e la contraffazione. Se l'Europa ci lascia soli di fronte al problema degli immigrati, non so dove andremo a finire. Amare l'Italia vuol dire ripristinare la legalità». Agli incarichi in Eberhard, la giornata di Peserico (sveglia alle 5 e mezzo, incontri e ufficio a Lugano o a Milano) comprende l'impegno per Indicam (centro marchi contro la contraffazione), Assorologi (di cui è presidente), Comitato Europeo Orologi (vicepresidente) e Confcommercio Milano (vicepresidente). Non cariche onorarie, ma lavori da portare avanti senza risparmiarsi. Mai pensato alla politica? «In senso aristotelico sì», risponde il manager. «Ma farla per scoprire che i lacci della burocrazia, e della stessa politica, impediscono tutto o quasi non fa per me». Se Milano fosse un orologio? «Sarebbe un orologio che non tiene il tempo e va sempre avanti. Ma alla città manca una visione, anche se qui più che altrove i privati investono denaro e idee: esempio, la Fondazione Prada». Parliamo di Expo, e dei Black Bloc. «Non sono ancora andato, lo farò. La Moratti si è lamentata che il concept originario è stato tradito, forse ha un po' di ragione. Black Bloc? In un Paese dove viene bollato come terrorismo di Stato il comportamento della polizia alla Diaz, meno male che a Milano è stata tenuta la piazza senza cadere nella provocazione. Immaginiamo cosa sarebbe accaduto se ci fosse scappato il morto».

Mario Peserico vive a Somma Lombardo, con la moglie Nadia, tre cani, tre gatti, due tartarughe. A Milano, se non lavora ama passeggiare: Santa Maria delle Grazie, via Cappuccio, l'Incoronata al Garibaldi. Va qualche volta alla Scala. O si ritaglia un'ora per praticare la boxe. Della città di un tempo rimpiange le drogherie, il macellaio, il ferramenta, la merceria: quel panorama umano che il mondo ci invidiava («negli Stati Uniti non ci sono mai state le botteghe»), scomparso per i centri commerciali. Si farà dei nemici, ma lo obblighiamo (siamo al caffè) a dirci tre ristoranti del cuore a Milano. Mugugna, vorrebbe sottrarsi, ma eccoli: «Trattoria Montina, Nuovo Macello e, fuori città, l'Osteria del Gallo a Gaggiano».

Poi guarda il suo Eberhard al polso, deve scappare, un aereo l'aspetta per Madrid: altri ristoranti da segnare sul quadernino nero, un'altra città per qualche giorno, portandosi sempre dietro l'amatissima Milano.

di Antonio Bozzo

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