Militante, anarchico, libero. Fofi, il disobbediente rosso

Intellettuale "totale" era molto bravo e molto ideologico. Fondò riviste, scoprì talenti, stava sempre con gli ultimi

Militante, anarchico, libero. Fofi, il disobbediente rosso

Goffredo Fofi, saggista, giornalista, critico cinematografico, letterario e teatrale - un vero intellettuale «militante» - è morto a 88 anni. Tra le tante sue iniziative giornalistiche ed editoriali, nel 1967 fu tra i fondatori di «Ombre rosse», rivista di cinema militante vicina ai movimenti studenteschi e operai. Unanime il cordoglio del mondo culturale e politico. I funerali si svolgeranno oggi alle 16 alla Chiesa Valdese di Piazza Cavour, a Roma.

Se c'è qualcosa che non si può dire di Goffredo Fofi è che non avesse un pensiero libero, per quanto striato di infiltrazioni ideologiche.

È morto ieri a 88 anni, dopo averne passati 70 nel ruolo di agitatore culturale e critico militante sì, ma non organico. Era comunista, ma eccentrico, cioè periferico rispetto al nucleo ufficiale e inossidabile del Pci. Il suo a ben vedere è piuttosto il percorso di un anarchico per vocazione. Era nato a Gubbio nel 1937; di estrazione contadina, a metà degli anni Cinquanta già si dava da fare perché il suo pensiero si distinguesse, tanto che nel 2022 la casa editrice minimum fax gli ha dedicato una raccolta di scritti compresi fra il 1956 e il 2021, intitolata Sono nato scemo, morirò cretino. Una dichiarazione di understatement che ovviamente non corrispondeva al calibro del personaggio, instancabilmente coinvolto in ogni tipo di attività critica e letteraria.

Fofi era un fondatore compulsivo di riviste, dai Quaderni piacentini a Linea d'ombra, da La terra vista dalla luna a Ombre rosse, dedicata dal cinema, fino a Lo straniero, l'ultima da lui diretta. Era un modo per dire la sua al di fuori delle strettoie dei canali ufficiali.

In quanto critico cinematografico, ha anticipato tutti, e spiazzato i sussiegosi colleghi della sinistra, parlamentare ed extraparlamentare, soprattutto quando ha ritenuto degno di grandezza, anche in quanto ancorato alla cultura del popolo, Totò. Mentre i sapienti (e saccenti) lasciavano ricadere sulle masse (spesso inerti al richiamo) il nettare che suggevano dai Cahiers du Cinéma, lui e pochi altri, per esempio Pier Paolo Pasolini, si accorgevano che la gente amava vedere anche, anzi soprattutto, altre opere, costruite con un linguaggio rivolto agli umili, ai semplici.

Così come è stato per altri, ad esempio Oreste Del Buono, e per gli Umberto Eco e gli Angelo Guglielmi una volta riemersi dalle paludi dottrinali del Gruppo '63, Fofi amava inoltrarsi nelle interpretazioni delle narrative di genere, nei fumetti, nel teatro, nelle contaminazioni.

Lo scrittore Raul Montanari, pur avendolo incontrato solo tre volte nella vita, sostiene di dovergli molto, forse più che a tutti, in termini di scoperta e incoraggiamento. Era di quelli che i giovani e gli esordienti li stava a sentire, anzi si può dire che li andasse proprio cercando. Scrittori, attori, registi.

Non è dato sapere se la stessa gratitudine gliela riconoscano anche Alessandro Baricco (per l'esordio con Castelli di rabbia) o Maurizio Maggiani o Stefano Benni. Sergio Atzeni non ce lo può più dire, lui che era forse il più brillante di tutti.

Ricorda Sandro Ferri, fondatore delle edizioni e/o: "I ricordi più belli sono quelli delle cento storie buffe che mi ha raccontato. Aneddoti con personaggi famosi come Luis Buñuel, Elsa Morante, Bianca Guidetti Serra, Fabrizia Ramondino, Alex Langer, Federico Fellini e moltissimi altri. Sempre divertenti, dissacranti ma con un lato di empatia. Coglieva gli aspetti contraddittori delle persone, i loro difetti e debolezze, ma con umanità. Era così: ti attaccava violentemente, ma poi ti abbracciava. Ti faceva morire dal ridere e, al tempo stesso, morire per una visione tragica che aveva del mondo".

"Una volta gli persi un bastone che avevamo comprato per lui in Africa" rievoca Eva Ferri, edizioni e/o. "Non ho mai smesso di sentirmi in colpa. Grazie a Goffredo ho conosciuto tante storture del mondo, tante ridicolaggini e ingiustizie, ma anche tante meraviglie intellettuali, e il mio grande amore. Era così, un mucchio di cose insieme e posso dire che comunque non ha mai avuto bisogno di quel bastone".

Di un qualche bastone tuttavia aveva bisogno, perché zoppicava, e il destino ha voluto che morisse poco dopo il ricovero e un'operazione per riparare un femore fratturato. Volendo usare la zoppìa come metafora si potrebbe dire che non è stato un uomo che procedesse spedito ed equilibrato secondo una linea retta e stabilita. Lo descrivono anche umorale, assorbito nei suoi progetti, sempre.

Delle decine di opere che ha lasciato se ne può qui ricordare solo una porzione, come Il cinema italiano. Servi e padroni (Feltrinelli, 1971), e poi Totò. L'uomo e la maschera (Feltrinelli, 1977), nei quali esprime il disappunto per un'abitudine atavica delle élite culturali italiane: il servilismo. Sua anche una Storia del cinema in cinque volumi della Garzanti (1988-90). Quanto alla politica, andrebbe rispolverato Zone Grigie. Conformismo e viltà nell'Italia d'oggi (Donzelli, 2011) e Elogio della disobbedienza civile (Nottetempo, 2015), in cui possono riconoscersi anche i simpatizzanti di un certo pensiero liberale, quello ai confini con il radicalismo, e di questo fanno fede anche i libri pubblicati con la casa editrice Elèuthera. Dopotutto, chi l'ha detto che le questioni sociali riguardano solo la sinistra ortodossa? Senza lo spirito libertario la passione civile ingrigisce nella burocrazia.

D'altronde, se egli apparteneva alla cosiddetta "cultura dell'opposizione" non si poteva pretendere che si accomodasse nella scia della classe dominante, di qualunque colore o distribuzione emiciclica questa fosse.

Perciò la sua scrittura si è dispiegata come un atto politico, cioè autenticamente mirato a indicare quali, nella società, siano i più deboli, gli afflitti, gli ultimi. Di questi, secondo lui, dovevano occuparsi la letteratura, il teatro, il cinema, le arti e gli artisti.

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