Cè un milite ignoto nella storia della scienza italiana. Si chiama Riccardo Giacconi. Ignoto per modo di dire, sintende. Non cè Accademia internazionale, non cè Università famosa, non cè giuria di Nobel che non lo conosca. Ma la maggior parte dei connazionali non sa chi è, anche perché lui non fa nulla per informarli.
Non so se come scienziato abbia avuto tutto quello che merita. Credo di no, perché è uno dei pochi grandi astrofisici del nostro tempo e non mi sembra che come tale sia stato finora pienamente riconosciuto. Ha vinto il Nobel, ma non cè dubbio che nel nostro Paese non ha avuto nulla di quel che gli era dovuto: neanche una Croce di cavaliere, che qui non si nega a nessuno, neanche un «Ambrogino», lui che è milanese dadozione. Come se fosse nato in un Paese non suo - eppure è di Genova, ha vissuto, studiato, si è laureato e ha insegnato a Milano - incapace di alloggiare un personaggio di così grande potenza culturale e creativa. Perché non cè dubbio che tutto quanto di buono ha fatto lastrofisica negli ultimi 50 anni ha la sua impronta; specie quella in raggi X, che è tutta opera sua.
Cè da chiedersi se un fatto così sarebbe mai potuto accadere altrove, in Francia ad esempio, dove la società assegna a ogni big la sua parte ben precisa, come in teatro, e gli permette di emergere, anzi glielo impone. Ma Giacconi purtroppo è nato e cresciuto in questa Penisola dove i veri talenti a volte sono lasciati in disparte, senza che la loro voce, specie se non è «politicamente corretta», trovi cassa di risonanza nei media. Si tratta di un caso forse unico. Alla vigilia del suo settantanovesimo compleanno questo scienziato ancora aspetta, ma senza ansietà anzi con assoluta indifferenza, di sapere il posto che gli verrà assegnato nellimmaginario e nel giudizio degli italiani.
Professore di astrofisica alla Johns Hopkins University di Baltimora, inventore dellastronomia in raggi X, progettista di alcuni dei più potenti satelliti per telescopi oggi in orbita (dallo Skylab allUhuru dal Chiandra allEinstein), iniziatore dellastronomia ottica spaziale, vincitore nel 2002 del Nobel per la fisica (ultimo italiano in ordine di tempo dopo Marconi, Fermi, Segrè e Rubbia), quando chiedo a cinquanta professionisti e studenti universitari di casa nostra «Chi è Riccardo Giacconi?», la risposta è immancabilmente «Non so». Eppure linvestitura di Stoccolma, otto anni fa, è troppo recente per essere già stata cancellata dalla memoria collettiva; inoltre quasi tutti hanno mostrato di avere qualche informazione, almeno approssimativa, su Marconi e Fermi.
Una amnesia generale che sorprende e stupisce o piuttosto una inconscia discriminazione indotta dai media di cui Giacconi non ha mai voluto servirsi per procurarsi notorietà? Schivo e scontroso, con unombra di malinconia sul volto e nel cuore, questo genio dellastronomia, il più grande dopo Galilei, non ha complicità né amicizie politiche; semmai è guardato con sospetto dallestablishment culturale di casa nostra che non gli perdona certi modi di agire «politicamente scorretti», poco à la page o addirittura «reazionari», come quella sua ammirazione per Arthur Koestler, scrittore di cosmologia ne I sonnambuli e autore del famoso romanzo Buio a mezzogiorno (1940), la più lucida e documentata denuncia antimarxista e antistalinista della letteratura mondiale.
«La discriminazione su Giacconi ci sarebbe stata anche senza lantipatia dei media italiani» dice Sandra Savaglio, giovane e brillate scienziata dellIstituto Max Planck per la Fisica extraterrestre di Monaco di Baviera e per diversi anni collaboratrice del professore al «Phisics and Astronomy Departement» della Johns Hopkins University di Baltimora. «Quel giorno dautunno del 2002, quando gli assegnarono il Nobel, io sono per caso allE.S.O. (Southern European Observatory, osservatorio australe europeo) che lui ha diretto per cinque anni, dal 92 al 97, e che è a pochi passi dal Max Planck di Garching dove lavoro. Da Ginevra un collega mi manda un sms con la notizia. Subito, molto emozionata, mi precipito nei vari reparti, quasi grido lannuncio; ma fra sorpresa e stupore avverto che non interessa a nessuno, o almeno mi sembra. Hanno lavorato con lui, ma è come se non lavessero mai conosciuto. Più tardi mi sforzo di capire perché, e la verità viene a galla. Quando Giacconi, che era a Baltimora, appunto nel 92, viene chiamato qui a Monaco per organizzare e dirigere lE.S.O., immediatamente applica i metodi di ricerca e di lavoro tipicamente americani. Con la sua capacità di manager, in breve raggiunge tutti gli obiettivi connessi al progetto del più grande osservatorio astronomico terrestre e realizza il «V.L.T.» (un insieme di quattro telescopi, del diametro di otto metri ciascuno, capaci di operare in contemporanea); ma per fare tutto ciò taglia un mucchio di teste. Lui non si preoccupa dei rapporti sociali, così scontenta i ricercatori, riceve un sacco di denunce, perde diverse cause. Ricordo anche un altro episodio - conclude Sandra Savaglio -: il piazzale davanti allE.S.O. pieno di gente con fischietti e cartelli che protesta contro Giacconi, come può succedere alla FIAT, o alla BMV. Poco tempo dopo se ne è andato da Monaco. Certo non si è fatto amare, ma i risultati scientifici e tecnologici che ha ottenuto qui sono eccezionali».
Eccezionali come la sua biografia di «ragazzo ribelle senza fissa dimora, un po a casa della madre, del padre, delle zie, dei cugini», irrimediabilmente segnata dalla morte del primogenito Marc, che in un incidente dauto si schianta contro un albero, a Baltimora, a pochi passi da casa. Straordinari come la sua opera, che da figlio di un carpentiere e di una insegnante di matematica nei licei milanesi lo porta a diventare il numero uno nell'astrofisica contemporanea.
Autore, negli anni Sessanta, della prima osservazione di una sorgente cosmica a raggi X al di fuori del sistema solare, non cè dubbio che il suo inedito universo rappresenti una stupefacente rivoluzione nellastronomia che, quattro secoli dopo Galilei, passa dal «perspicillum» dellosservatorio di Arcetri a strumenti che, come i telescopi lanciati nello spazio a bordo di razzi o satelliti, consentono esplorazioni nel cosmo un milione di miliardi di volte più estesi di quelle consentite al genio di Pisa.
Per molto tempo, fino al 1930, si era pensato che luniverso fosse un posto tranquillo; loccasionale esplosione di una Nova o la disintegrazione violenta di un astro, eventi piuttosto rari. Ancora alla fine del secolo scorso le stelle di neutroni e i buchi neri - dove la gravità è così forte da impedire anche luscita della luce - erano pensati solo come oggetti ipotetici. La situazione cambia negli ultimi 40 anni, quando diventa chiaro che il cosmo, dilaniato incessantemente da enormi iniezioni di energia, è un via vai frenetico di morti e resurrezioni, come succede nei pulsar, stelle rotanti di neutroni che muoiono rinascono tornano a morire e rinascere emettendo radiazioni su tutte le lunghezze donda, a cominciare dai raggi X.
Lidentificazione delle sorgenti di raggi X fuori del sistema solare fatta da Giacconi nel 68 e confermata dallo stesso scienziato nel 1970 con il satellite Uhuru e i suoi rilevamenti è un passo fondamentale nellastronomia moderna; per mezzo di telescopi orbitanti come Chiandra, Uhuru e Einstein si scoprono nel cosmo nuove classi di oggetti, dai quasar ai pulsar alle stelle binarie, a confermare sperimentalmente la teoria di Heisenberg delluniverso in continua espansione. Giacconi ha pure accertato che la maggior parte della materia cosmica «normale» si presenta sotto forma di gas a temperature di milioni di gradi e che esiste una materia non «normale», chiamata oscura, la quale si rivela solo attraverso gli effetti gravitazionali ma la cui natura ci è ignota e pure unenergia oscura di cui non abbiamo alcuna idea. La materia «normale» è solo il 3% della massa delluniverso, mentre il 27% è materia oscura e il 70% energia oscura. È forse la scoperta più straordinaria di questo astrofisico che proprio con le sue originali geniali ricerche sui telescopi orbitanti e luniverso in raggi X è riuscito perfino a imprimere una svolta fondamentale nello sviluppo tecnologico del pianeta, dalla realizzazione delle macchine per la risonanza magnetica ai metal detector.
«In ogni caso, quel poco che sappiamo del cosmo lo abbiamo appreso tutto negli ultimi centanni», spiega a questo punto lo scienziato. «Così oggi viviamo un periodo eroico dellastronomia benché abbiamo dinanzi troppi interrogativi a cui non sappiamo rispondere: il più inquietante, che cosa cera prima del Big Bang? Perché è sempre fondamentale, in tutti i campi, ritrovare le proprie radici. Io per esempio, benché ligure, mi sono formato a Milano e questo è stato determinante per me», dice Giacconi tra orgoglio e rimpianto. «Sono arrivato in questa città che avevo cinque anni, ho cominciato le elementari al Collegio militare di San Celso, a Milano ho conosciuto la ragazzina, Mirella, che poi sarebbe diventata mia moglie. Avevo appena sei anni quando i miei genitori si separarono: lui operaio, socialista, antifascista; lei insegnante di liceo, iscritta al Pnf, con due sorelle, le mie carissime zie, fascistissime. A Milano nel 45 ho visto per la prima volta i soldati americani. Ero in Piazza Duomo con mio padre che mi disse: Sono contento che siano arrivati, ma lo sarò ancor più quando se ne andranno».
Il professore continua: «Molto presto, circa a 18 anni, capii che lItalia, con i nuovi partiti, stava diventando prigioniera della corruzione e della mafia. Perfino nella ricerca scientifica i manager venivano scelti per clientelismo. Così cominciai ad amare lAmerica, a coltivare il mio sogno americano, e nel 56, dopo la laurea in Fisica, partii per gli Usa. Mirella mi raggiunse tre mesi dopo, a Bloomington, dove avevo trovato lavoro allUniversità dellIndiana.
Il milite ignoto della scienza italiana
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