In effetti c'è qualcosa di favoloso in quel ghiribizzo vocale alla fine di Un briciolo di allegria, un superbo regalo di talento che Mina concede a se stessa e a tutti noi nel duetto con Blanco che spunta alla fine del suo miliardesimo disco di inediti. Si intitola Ti amo come un pazzo, esce oggi e il figlio Massimiliano Pani, elegante e rispettoso come sempre, lo ha definito un feuilleton ispirato a fotoromanzi del Dopoguerra come Bolero Film, voluto da Cesare Zavattini nel 1947, ogni pagina un'immagine, uno stato d'animo sull'amor perduto, tormentato, perso. «Si è accorta di aver fatto un disco di canzoni volutamente morbide con storie di uomini e di donne». Il risultato è «sv», ossia senza voto: impossibile valutarlo tanto è vocalmente perfetto e avulso da quasi tutta la musica contemporanea (la pubblicazione digitale è di Pirames International di Federico Montesanto).
Ormai Mina gioca un campionato a parte, sganciato da ogni canone estetico, musicale o comunicativo di quest'epoca appiattita sugli slogan. Ha 83 anni (appena compiuti) ed è una delle poche icone transgenerazionali che ancora resistano. Piace ai suoi coetanei, ai loro figli, ai loro nipoti e adesso anche ai pronipoti, nonostante non faccia un concerto da 45 anni e un programma tv da 47. Chiunque altro, si sa, sarebbe già sparito, impolverato, inabissato nei ricordi.
Invece ogni anno vengono spediti a Mina cinque o seimila brani inediti con l'obiettivo di finire in un suo disco e «siamo indietro di tre anni nell'ascoltarli», sospira Pani che però è quasi feroce nel riassumere la situazione: «Oggi i cantanti propongono il loro mondo ben preciso, in un certo senso lo faceva anche Battisti, ma è un caso a sé stante, e quindi per loro cantare bene è meno interessante».
Come dirà più avanti parlando nel nuovo Mondadori Store di fianco al Duomo di Milano, Mina «non è una cantautrice, è una interprete, mestiere oggi in disuso». Quindi si può permettere di interpretare, quasi madrelingua napoletana, la lettera a Dio di Enzo Avitabile (Don Salvatò) oppure la ridondante, felliniana Zum pa pa scritta da Alessandro Baldinotti e la personalissima versione di Tutto quello che un uomo di Sergio Cammariere che rimane a bocca a aperta e riconosce che «nella strofa c'è una misura in più rispetto all'originale: tutto questo rende il brano ancora più struggente ed evocativo». Persino Ferzan Ozpetek, per il quale Mina «è diventata una delle persone più importanti della mia vita», prende le sue canzoni per «costruirci» un pezzo di film intorno. Lo ha già fatto con Buttare l'amore, affidato alla sigla della serie Le fate ignoranti di Disney+. Ora, collegato da qualche parte nel mondo, conferma che la nuova, Povero amore, sarà «in una scena importante» del suo prossimo film Nuovo Olimpo in uscita su Netflix tra autunno e Natale. E nella colonna sonora ci sarà anche Vorrei che fosse amore, anno di grazia 1968.
In poche parole il canzoniere di Mina è un serbatoio di cultura popolare e, non a caso, lei è stata indicata anni fa come possibile direttore artistico di Sanremo: «Ma quando ha detto che avrebbe scelto le canzoni da sola sono spariti subito tutti». Capirai. «Nell'epoca dell'immagine lei ha destrutturato la propria molto prima di Madonna o Lady Gaga.
Quando annunciò alla Emi che non avrebbe più fatto concerti e tv, le stracciarono il contratto». In ogni caso, tranquilli, anche se ha 83 anni Mina non si ritira: «Farà dischi finché avrà voglia di farlo, per lei è un bisogno intellettuale». Dopotutto, Mina si nasce e si resta fino alla fine.
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