Roma«Abbiamo dato disposizioni affinché il sito venga chiuso subito e tutti quelli che sono intervenuti siano denunciati alla magistratura. È apologia di reato». Il ministro dellInterno, Roberto Maroni, annuncia lintenzione di oscurare il gruppo nato su Facebook «Uccidiamo Berlusconi» e, non appena la notizia si diffonde, gli iscritti al gruppo cominciano a salire ad un ritmo vertiginoso, saltando da 13mila a ventimila nel giro di poche ore e continuando a crescere. Non solo. Si moltiplicano pure i gruppi che invitano ad eliminare il premier e per contrasto quelli che lo sostengono. Dunque, prima lapertura dellinchiesta e poi lannuncio del prossimo oscuramento invece di chiudere la questione finiscono per rilanciarla. Basta leggere i commenti rilasciati nelle pagine del gruppo: la decisione del governo viene raccolta come un guanto di sfida e molti si dicono pronti a rischiare la denuncia pur di dire quel che pensano, accusando il Viminale di attentare alla libertà di pensiero. In molti sottolineano come nessuno abbia davvero lintenzione di «uccidere» Berlusconi tanto che il gruppo è inserito nella categoria Just for fun. Uno degli amministratori del gruppo, Alberto Raul M, insiste sul fatto che si tratta di uno «svago per resistere al regime sorridendo».
È proprio questo il punto sul quale il responsabile del Viminale non ha voglia di scherzare. «Cè la massima attenzione da parte delle forze dellordine di fronte a questi atti - dice Maroni -, non credo che ci sia un Paese al mondo in cui si può scrivere in un sito che si vuole uccidere il premier». Per Maroni, se passa il principio che si può minacciare il premier e restare impuniti «cè il rischio che qualcuno metta in atto quelle minacce». Anche perché, conclude, si assiste ad una «demonizzazione» attraverso «una azione quotidiana di denigrazione del premier che può portare qualche mente malata ad ipotizzare azioni di questo tipo».
Il timore di un ritorno alle atmosfere cupe degli anni di piombo è condiviso anche dal ministro degli Esteri, Franco Frattini, che lancia un appello dalle sue pagine di Facebook. «LItalia dei primi anni 70 ha conosciuto oltre un decennio di violenze e di delitti iniziati proprio con la violenza delle parole, trasformatasi poi tragicamente in violenza delle armi - dice Frattini -, per questo oltre allincredulità e alla vergogna debbo unire non solo la condanna, ma lappello a tutti voi perché queste iniziative sciagurate vengano isolate, combattute e sconfitte con fermezza e durezza». Pure il segretario del Pri, Francesco Nucara, giudica quelle minacce «gravi e preoccupanti» e ricorda come in un suo incontro con Giorgio Napolitano aveva parlato al capo dello Stato del «pericolo di una sinistra radicale non rappresentata in Parlamento» e ora, conclude, «le numerose adesioni contro il premier registrate nel social network ne sono la riprova».
Non cè soltanto Berlusconi nel mirino degli utenti di Facebook. I più bersagliati fra i ministri, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Non mancano le vittime a sinistra come il segretario del Pd, cui è stato intitolato il gruppo: «Dario Franceschini, sparati». Un approccio superficiale e spesso incosciente ai tanti social network sorti negli ultimi tempi è già costato caro ai tanti studenti sospesi dalle lezioni perché avevano creato gruppi diffamatori nei confronti della loro scuola e dei loro docenti. Sulla necessità di un approccio più consapevole insiste il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, che nota come sulla rete purtroppo «prolifichino gruppi inneggianti allodio e alla violenza». Per la Meloni questo accade perché la rete viene vista come una sorta di «terra di nessuno dove si può abbandonare il rispetto delle regole del vivere civile». Giusto dunque «condannare le degenerazioni estremistiche», senza però fomentare «lennesima caccia alle streghe». E la Meloni invita i giovani ad accostarsi a internet «impiegando la giusta dose di consapevolezza e unadeguata preparazione».
La procedura per oscurare le pagine con i gruppi contro Berlusconi procede anche attraverso linchiesta aperta dalla Procura di Roma che ipotizza i reati di minacce, diffamazione e istigazione a delinquere. La casa madre di Facebook si trova a Palo Alto, in California, e loscuramento appare destinato a tempi lunghi.
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