Il «Minghella 2», papà che non perde il vizio di uccidere

Ottiene la semilibertà, e si trasferisce a Torino dove uccide le prostitute

Il «Minghella 2», papà che non perde il vizio di uccidere

Paolo Bertuccio

Dov’era rimasta la storia di Maurizio Minghella? Porto Azzurro, la più famosa tra le patrie galere. Un penitenziario di massima sicurezza le cui celle hanno ospitato gran parte dei serial killer italiani. Non fa eccezione Maurizio Minghella, il «Travoltino della Valpolcevera», condannato all'ergastolo per quattro efferati omicidi commessi a Genova nel 1978. Dietro quelle sbarre, Minghella si comporta bene. Sta tranquillo e non crea problemi: il classico esempio di buona condotta. Questo basta e avanza, secondo il giudice che nel 1996 gli concede il trasferimento nel carcere di Torino e il regime di semilibertà. Evidentemente, Minghella sembra proprio un individuo saldamente attestato sulla strada del recupero. Maurizio Minghella inaugura la sua nuova vita di uomo quasi libero: starà in prigione fino alle 17, dopodiché avrà cinque ore per andare a lavorare come falegname in una cooperativa del Gruppo Abele di Don Ciotti, prima di tornare a dormire in cella alle 22. Questo nei giorni feriali, perché nei festivi la libertà dell'ex Travoltino dura dalle 7 di mattina alle 10 di sera.
Si possono fare molte cose, in tutte quelle ore, oltre a lavorare. Minghella conosce una donna, trova un appartamento in cui vivere con la compagna nel tempo concessogli dalla giustizia e, nel 1998, diventa padre di un maschietto. Sembra la rinascita definitiva. Ma in quelle ore di libertà, cinque al giorno nei feriali e quindici nei festivi, si possono fare ancora altre cose. Per esempio, uccidere. 7 marzo 2001. Ci sono voluti cinque anni, quindici prostitute aggredite e dieci uccise, per capire che l'autore della scia di sangue che terrorizza Torino dal 1996 è proprio lui, il recidivo Maurizio Minghella. Per lui è l'ultimo giorno di lavoro: la polizia lo riporta in carcere con l'accusa di violenza e rapina ai danni di una passeggiatrice, in relazione ad un episodio avvenuto nel settembre precedente e tardivamente denunciato dalla vittima. Dietro l'angolo, però, ci sono guai più seri, per il Travoltino.
Va detto che Maurizio Minghella verrà formalmente accusato di soltanto quattro dei dieci omicidi attribuiti al nuovo «mostro di Torino». Nonostante questo, è un dato di fatto che gli omicidi siano avvenuti tutti in tempi compatibili con la semilibertà del detenuto e che, dopo l'arresto dell'ex bulletto bolzanetese, la serie di delitti di prostitute si sia fermata. Delle quattro vittime «ufficiali», una è rimasta senza nome. La seconda ragazza della cui uccisione è accusato Maurizio Minghella un nome, invece, ce l'ha, e anche molto suggestivo. Fatima H'Didou è una prostituta marocchina nata nel 1970. Minghella la avvicina una sera di maggio del 1997: le offre più soldi di quanto richiesto, a patto che si apparti con lui in un luogo isolato.
È una caratteristica del Travoltino, quella di pagare di più pur di essere lui a comandare il gioco. Con conseguenze a volte spaventose: una ragazza, una volta, è rimasta in balìa del maniaco per quattro lunghe ore, mentre un'altra è riuscita a salvarsi dalla violenza del serial killer con una miracolosa intuizione psicologica: gli ha detto «Tu sei un vero uomo, vorrei essere al tua donna», soddisfacendo così il bisogno di fiducia nella propria virilità di cui, come confermano le perizie, Minghella ha un costante e disperato bisogno. Non sappiamo se Fatima H'Didou abbia messo in dubbio o meno la mascolinità del cliente. La serata si conclude con la ragazza maghrebina prima picchiata, poi violentata e infine strangolata col laccio di una tuta da ginnastica.
Cosima Guido, detta «Gina», nel 1999 è una signora 67enne di origine pugliese che si prostituisce. È una delle tante storie disperate che scandiscono il tempo a San Salvario, il quartiere degradato per eccellenza della periferia torinese. Il figlio di Cosima è tossicodipendente e continua a chiedere soldi alla madre per comprarsi le dosi. Da qui la necessità della donna di trovare una fonte di guadagno. Minghella, che nel frattempo è diventato padre, conosce questa signora bionda tinta mentre sta sistemando delle fioriere in uno spazio pubblico per conto della cooperativa per cui lavora. Pochi giorni e, il 30 gennaio, Gina riceve Maurizio nel suo pied-à-terre. Gli inquirenti troveranno l'appartamento perfettamente in ordine, e il cadavere della donna, strangolato stavolta con un foulard.
Un passo falso, quello definitivo, Minghella lo fa nel 2001. Sono successe tante cose, nel frattempo. Il Travoltino ha lasciato la prima compagna, quella con cui ha avuto un figlio, ha iniziato e concluso un'altra relazione e adesso vive con una terza donna. I sospetti che sia lui il mostro di Torino sono semrpe più forti, nella mente degli inquirenti. C'è anche quella ragazza aggredita a settembre che potrebbe averlo riconosciuto. Bisognerebbe solo rintracciarla e convincerla a deporre davanti al pm. Lo farà all'inizio di marzo, ma prima del tintinnio delle manette ci sarà ancora il tempo per l'ultima efferatezza di Minghella: il 9 febbraio, dalle parti di Collegno, il mostro colpisce ancora. Per l'ultima volta. Tina Motoc, 21 anni, romena, madre di una bimba di 2 anni, viene uccisa con un rituale violentissimo. Sodomizzata, picchiata, strangolata con il suo collant e infine derubata. Derubata, tra le altre cose, di un telefonino, che, come dimostreranno gli accertamenti successivi all'arresto del killer genovese da quel giorno in avanti risulta usato proprio da Maurizio Minghella. La storia criminale di Maurizio Minghella non finisce con l'arresto.

Non finisce neanche nell'aula del tribunale che lo condanna a quattro anni per l'aggressione alla prostituta del settembre 2000. Minghella, due vite da serial killer, è l'esempio preferito di chi sostiene che le pulsioni degli assassini seriali rimangono per sempre e non si perdono con qualche anno di detenzione.
(2 - fine)

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