«Il Minimalismo? Una moda che non pratico»

Lo scrittore americano David Leavitt arriva questa sera a Massenzio dove leggerà brani del suo ultimo romanzo

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Francesca Scapinelli

Nuovo appuntamento questa sera alla Basilica di Massenzio per il «Festival internazionale Letterature»: sul palco saliranno gli scrittori David Leavitt e Ali Smith, americano il primo e scozzese la seconda.
Come di consueto, protagoniste della serata saranno le parole e la musica: Leavitt e Smith, che leggeranno in inglese racconti inediti, saranno accompagnati dalla voce dell’attrice Manuela Mandracchia e dalla maestria del pianista Franco D’Andrea.
Il tema del Festival, l’evento promosso dal Comune di Roma e dal Ministero per i Beni e le Attività culturali con la cura artistica della Casa delle letterature, è «Paura, speranza»: due emozioni universali, strettamente legate e quanto mai palpabili nelle società odierne.
«Leggerò un racconto che ho scritto nel ’92-’93 - annuncia Leavitt - e che tratta del rapporto padre-figlio. Penso che paura e speranza siano due sentimenti uniti e sempre presenti nella relazione tra genitori e figli». Quali le paure personali dello scrittore? «Quelle di tutti: la vecchiaia, la morte. Ma in questo momento la mia paura più grande riguarda il presidente Bush. Non sopporto di vedere il suo viso o di sentire la sua voce».
È felice di tornare nella capitale, Leavitt, che oltre che a Roma ha vissuto in Toscana per un periodo complessivo di otto anni. «Dal 1994 al ’97 ho abitato all’ombra del Colosseo, in via san Giovanni in Laterano - racconta -. Vivere a Roma è un’esperienza forte e mi ha permesso di apprezzare davvero il senso del passato e della storia, oltre che di riflettere sulla lingua e sulla radice latina o anglosassone delle parole».
Classe 1961, di Pittsburgh, docente di scrittura creativa all’University of Florida, Leavitt esordì appena ventitreenne con la raccolta di racconti Ballo di famiglia, uscita in Italia nel 1986 (Mondadori), finalista del Pen/Faulkner Prize e del National Book Critics’ Circle Award. Le qualità della sua penna si ritrovano nei romanzi, da La lingua perduta delle gru (1987) agli ultimi Martin Bauman (2002) e Il corpo di Jonah Boyd (2005).
«Il mio ultimo libro nasce per trasmettere piacere al lettore, ho capito che troppo spesso si dimentica l’importanza dell’arte della piacevolezza e si indulge in opere deprimenti. Voglio dare al mio pubblico lo stesso piacere che cerco io». Come esempio di capacità di veicolare «gioia anche se in presenza di aspetti scuri e negativi», Leavitt cita Muriel Spark (che sarà ospite del Festival, con Marco Lodoli, il prossimo 9 giugno). «Adoro la Spark - dice - è tra i miei preferiti come pure la Penelope Fitzgerald di The blue flower e Edward Morgan Foster, che in Camera con vista ha dato un ritratto perfetto dell’Italia. Tra gli italiani apprezzo in particolare Mario Soldati e Alberto Moravia, che ho divorato proprio quando ero a Roma».
Parla con affabilità di tutto ciò che riguarda il suo mestiere, anche quando si tratta di categorie che non sempre trova rispondenti, come quella di «minimalista»: «Il minimalismo? Una moda che ammiro molto, ma che non pratico». Preferisce essere considerato esponente di una letteratura per cui conia il termine «post gay», giudicando ormai sorpassata l’idea di una narrativa omosessuale. «C’è chi ha problemi a essere identificato come autore gay, ad esempio l’irlandese Colm Toibin non tollera questa etichetta - spiega -. A me non fa arrabbiare, ma la trovo anacronistica».


Infine, un’anticipazione del nuovo lavoro di Leavitt: «Uscirà a novembre un mio saggio che parla di Alan Turing, il genio matematico inventore del computer, perseguitato perché omosessuale e morto suicida».
L’appuntamento è alla Basilica di Massenzio, con ingresso dal Clivo di Venere Felice (via dei Fori Imperiali).
Il Festival inizia alle ore 21, il botteghino è aperto dalle 19. Per informazioni, tel. 06.82077304.

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