Il ministro Bondi: "Sconvolto da Eco E' un uomo carico d'odio"

Il ministro dei Beni culturali: "Ha faticato a darmi la mano, sembrava s’infettasse. Pensano di rappresentare i migliori e disprezzano la persona". Fenomenologia di un semiologo

Il ministro Bondi: "Sconvolto da Eco 
E' un uomo carico d'odio"

Roma - «Quando ero giovane e militavo nel Pci, a Carrara mi fischiavano gridando: “Iscriviti al Psi”. Non mi spavento certo per una contestazione o perché Eco non vuole stringermi la mano». Sandro Bondi parla il giorno dopo essere stato accolto da un drappello di «buh» al teatro Dal Verme di Milano, dove Umberto Eco teneva una conferenza dal titolo «La fiamma è bella», excursus dal carro di Elia a Eraclito fino alla bomba atomica e al protocollo di Kyoto. Era una delle serate della Milanesiana, rassegna di letteratura musica e poesia diretta da Elisabetta Sgarbi. Il ministro della Cultura ha raggiunto la prima fila, si è avvicinato a Eco e ha subito capito di non essere esattamente il benvenuto: «Il professor Eco non si è neppure alzato e, restando seduto, ha faticato a darmi la mano, ritraendola immediatamente, forse per paura che lo infettassi. Un gesto senza senso della misura». Quando Elisabetta Sgarbi ha annunciato dal palco la presenza in sala del ministro, tra gli applausi sono partiti anche i fischi. «Ero andato per rendere omaggio a una manifestazione culturale, mi sono trovato tra scalmanati, gente che non ha nulla a che fare con la cultura».

Accusa Umberto Eco e il suo pubblico di maleducazione?
«Forse sono ancora troppo ingenuo e ho una sensibilità che non è fatta per la politica, ma rimango choccato da questi gesti e da un certo modo di vedere il mondo. Da parte di alcuni cosiddetti intellettuali di sinistra c’è un odio quasi antropologico. Sandro Bondi non è Sandro Bondi ma il simbolo del male sulla terra. Hanno l’idea di rappresentare i migliori e non mostrano alcun rispetto per l’uomo, per la persona».

Non vorrà impedire al pubblico di fischiare? O pensa che fosse una claque organizzata?
«Non voglio impedire nulla e per fortuna non era tutto il pubblico, c’è anche chi mi ha applaudito. Ma sono episodi che amareggiano perché danno la misura del vuoto culturale di una certa sinistra. Sono i fan di Umberto Eco, gli stessi presenti ai girotondi. A me non salterebbe mai in mente di fischiare chi non la pensa come me. È gente che presume di essere di cultura, ma i primi segni della cultura sono l’apertura al dialogo, la curiosità, il cercare di comprendere ciò che è diverso».

Molti intellettuali hanno disertato i girotondi. Anche lo stesso Eco, nonostante avesse firmato l’appello per la manifestazione, parlando di «emergenza democratica».
«Lo fanno solo perché non vogliono identificarsi in manifestazioni esagitate, cercano di mantenere una distinzione dai comici per proporsi come coloro che indicano la linea al partito. Ma viene alimentato un clima come quello che ho trovato scendendo dal treno a Roma. Sono stato assaltato da un tizio che ha cominciato a urlarmi contro: “Lei è Bondi? Non si vergogna delle leggi ad personam?” E gridava: “Vergogna, vergogna!”».

Secondo lei, i toni aspri non possono far parte dello scontro culturale e politico?
«Da cattolico che è stato iscritto al Pci, ricordo le lettere di Enrico Berlinguer a monsignor Bettazzi. Il vescovo di Ivrea riteneva l’ideologia marxista inconciliabile con la fede cristiana, eppure le divergenze non bastavano a eliminare il dialogo. Allora c’erano gesti di civiltà e rispetto personale e politico. Oggi il mondo non è più diviso in blocchi contrapposti eppure accadono episodi del genere. Pensano di essere colti ma è più colto un contadino toscano o un muratore rispetto a quelle persone lì, nutrite di faziosità e intolleranza».

Lei è un fautore del dialogo con l’opposizione. Crede che la faziosità e l’intolleranza siano minoritarie nella sinistra?
«Purtroppo questo tipo di cultura, di assenza di cultura, appartiene ancora alla maggioranza della sinistra. Non avendo mai fatto i conti con la propria storia, oggi si trovano nella situazione paradossale di avere Antonio Di Pietro come interprete delle pulsioni più profonde del popolo di sinistra, delle sue spinte prepolitiche. È un paradosso perché Di Pietro esprime posizioni di destra e reazionarie eppure riesce a mettere in difficoltà Veltroni con i suoi girotondi».

Pensa quindi che il dialogo sia inutile? O salva qualche interlocutore?
«Invito da sempre a instaurare un clima nuovo nel Paese e continuerò a farlo. Non abbandono la ricerca del dialogo perché Eco non mi dà la mano. Voglio guardare il positivo e riconosco che Veltroni ha cercato di differenziarsi, ma la sua debolezza è nell’assenza di modelli culturali di riferimento».

Vuol dire che secondo lei non è cambiato nulla con la nascita

del Pd?
«La sinistra non è approdata una cultura riformista, ma a una cultura radicale di massa, tanto è vero che ha scartato l’alleanza con i socialisti. Ha vinto Pannella e ha imposto il suo radicalismo».

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