«Il ministro del Tesoro sta con loro»

Doveva essere l’uomo della Provvidenza, il superministro capace di risanare il sistema finanziario americano, o almeno così lo aveva presentato Barack Obama quando aveva annunciato la sua nomina a ministro del Tesoro. E tutti ad applaudire. Le credenziali erano quelle di un giovane economista che, dopo cinque anni trascorsi alla guida della Federal Reserve di New York, aveva l’esperienza necessaria per capire il complesso mondo delle banche d’affari di Wall Street. Garantiva, per lui, il presidente della Fed, Ben Bernanke.
Non tutti erano convinti. I più scettici, come il Nobel dell’Economia Stiglitz, non avevano gradito che a presentarlo al presidente degli Stati Uniti fosse stato Robert Rubin, numero uno di Citigroup e artefice, negli anni di Clinton, della deregolamentazione finanziaria. Per essere un autentico riformatore sembrava troppo vicino al Club dei Top Manager.
Oggi quei sospetti trovano conferma, grazie a un’inchiesta esemplare del New York Times, che ha ricostruito il profilo, le amicizie, le decisioni di Geithner durante i suoi anni alla guida della Fed di New York, giungendo a una conclusione sconsolante: i rapporti con il Club (o se preferite la Casta) della finanza erano strettissimi; addirittura senza precedenti.
I suoi predecessori, proprio per evitare sospetti di collusione, avevano adottato una regola di condotta per limitare allo stretto indispensabile gli incontri con i banchieri e sempre in presenza di un testimone neutrale. Timothy, che quando assunse il comando aveva appena 42 anni, incontrava spesso e volentieri direttori di banca, come l’ex presidente di Citigroup Sanford Weill, nonché gestori di hedge funds, in occasioni ufficiali e ludiche. Non era difficile incontrarlo alle feste del jet-set finanziario.
Di certo, non aveva capito la complessità delle istituzioni finanziarie che avrebbe dovuto controllare e, sebbene in qualche occasione avesse sollecitato le banche a cautelarsi nell’eventualità di periodi avversi, le sue decisioni sono risultate di segno opposto. Fu lui, nel maggio del 2007, cioè quando la crisi dei subprime era già iniziata, a esaltare «la solidità delle principali istituzioni finanziarie americane», che, grazie a strumenti come i derivati, avevano «migliorato la propria capacità di misurare e controllare il rischio»; salvo proporre, due giorni dopo, una diminuzione delle riserve obbligatorie delle banche.

Fu sempre lui, nel giugno del 2008 in una riunione riservatissima, a sostenere la proposta dell’allora ministro del Tesoro Henry Paulson di un ampio intervento statale per ripianare i buchi degli istituti.
E da quando è stata ratificata la sua nomina a ministro del Tesoro non ha cambiato rotta: Timothy Geithner è l’uomo delle banche d’affari americane.
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