MilanoSi commuove ancora. Parlando di droga, Livia Turco, onorevole, democratica, ex libertaria in materia di hashish e annessi, increspa la voce proprio come laltra sera a Porta a Porta. Caso Morgan: «Mi ha colpito molto. Parlava con lanima». Lei ha praticamente aperto la puntata quasi in lacrime, rivelando, con dolcezza, una insospettata sensibilità al tema.
Onorevole, si è creduto che lei fosse così coinvolta perché stava rendendo nota la tossicodipendenza di suo figlio.
«No. Assolutamente no».
Però in tv non è stata molto chiara.
«Il riferimento a mio figlio magari può avere ingenerato degli equivoci. E far pensare a suoi problemi con gli stupefacenti».
Allora si spieghi.
«Tra me e mio figlio cè sempre stato un rapporto forte. Ma non sempre la comunicazione tra noi è stata così facile, anche per colpa del lavoro che faccio. Però il tema della droga ci ha unito ancora di più».
Come?
«Quandera piccolino, io da ministro degli Affari Sociali mi sono dedicata anima e corpo al tema della droga. Visitavo comunità e Sert, incontravo drogati. E tutte queste visite mi avevano creato una forte angoscia, soprattutto pensando alla distruttività delle droghe».
In che modo il suo lavoro si ripercuoteva su suo figlio?
«Tormentavo questa creatura piccolina dicendogli: Devi sempre parlare con tuo papà e tua mamma. È stato allora che ho detto per la prima volta la frase che ho ripetuto laltra sera a Porta a Porta: I genitori sono il tuo porto».
Insomma rovesciò su di lui le sue paure.
«Sì, rovesciate e amplificate dal contatto diretto con la drammatica realtà dei drogati».
Ma lei non era antiproibizionista?
«No. Però quandero giovane comunista, con la Fgci ero per la liberalizzazione delle droghe leggere».
Ha cambiato posizione?
«No. Ma il mio è stato un percorso umano. Credo che il punto di riferimento non debba essere la sostanza in sé, ma il rapporto che questa sostanza ha con la persona. Ed è su questultima che bisogna agire».
E suo figlio?
«A 16 anni, lui che era molto estroverso, è cambiato molto. Si è rinchiuso, stava sempre zitto, era geloso delle sue uscite e per di più usciva in orari strani rispetto al solito. Per noi genitori è stata una grande angoscia, per di più io avevo già il disagio enorme di essere una madre poco presente».
Come è andata a finire?
«Dopo un anno si è finalmente aperto. E ha raccontato che il suo miglior amico, un liceale, faceva uso di cocaina. Per mio figlio questa scoperta fu un trauma: lo vedeva sballato a scuola e si convinse, contro il suo volere, a parlarne con i genitori e la fidanzata. La loro amicizia si ruppe. Ma le sue confidenze sono state per me, come madre, un momento di grande intimità e la scoperta di un suo importantissimo percorso di vita».
Come ne è uscita?
«Mi ha tolto tutte le certezze che avevo in materia. Ma me ne ha data unaltra più grande: la presenza dei genitori è fondamentale. Non sai quanto è facile, mi diceva, incontrare la droga: nei bar, nei posti di ritrovo, nelle scuole cè sempre qualcuno che te la offre».
Come si fa a dire di no?
«Bisogna averne la forza. Il mio punto di riferimento è sempre stato don Luigi Ciotti. Una volta, ero ragazzina, davanti alla stazione di Porta Nuova a Torino cera un tendone con la scritta Contro lemarginazione, contro le droghe. Sono entrata e cera un sacerdote che stava dicendo messa: era lui. Da allora lho sempre seguito».
Che cosa le ha suscitato il caso Morgan?
«La volontà di dire ancora più forte un no alle droghe senza se e senza ma».
Il segretario del suo partito, Pier Luigi Bersani, ha detto che bisogna dare a Morgan unaltra possibilità.
«Sono daccordo».
Anche al Festival?
«Morgan a Sanremo ci sarà comunque: il suo caso sarà per forza oggetto di discussione anche al Festival. Se ci andasse davvero, io mi auguro che attraverso la sua passione per la musica, riuscirà a dire un altro forte no alle droghe.
Ma se lo stesso Morgan ha detto: «Se sono un pessimo esempio, perché tutti i programmi Rai mi stanno cercando?».
«Ormai è persino inutile stupirsi dellipocrisia di certe trasmissioni».