Ha provato a difendersi, a sostenere davanti al giudice che non voleva uccidere il figlio ribelle, che aveva soltanto tentato di strappare di mano il coltello con cui il giovane minacciava di tagliarsi le vene al culmine di una discussione. «È successo tutti in un attimo, abbiamo avuto una colluttazione e poi Vipa mi si è scagliato addosso. Ho visto tutto quel sangue, è stato orribile e ora anche la mia vita è finita». Si è difeso così Vijai Kumar, 49 anni, il commerciante di ortofrutta indiano che sabato scorso a Lavinio ha accoltellato al cuore il figlio di 21 anni colpevole di rientrare troppo tardi la sera e di non essere per questo in grado do lavorare al mattino. Il ragazzo non voleva più obbedire al codice della famiglia e alle regole della comunità. E ogni volta erano discussioni.
Il gip del Tribunale di Velletri Zsuzsa Mendola non ha creduto però all'autodifesa dell'indiano - peraltro già «assolto» dal clan familiare - e ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Per il giudice Kumar è «pericoloso socialmente» e potrebbe «reiterare il reato» nei confronti di altri componenti della sua famiglia, dato il suo carattere violento. Niente scarcerazione, dunque, o arresti domiciliari, come invece avrebbe voluto l'avvocato Angelo Palmieri, che ha già annunciato il ricorso al tribunale del Riesame. «Vijai è molto malato - ha detto il legale - ha una grave patologia al fegato. Non c'è pericolo di fuga, nè quello di reiterazione del reato: è un uomo distrutto e ha spiegato al gip che si è trattato di una tragica fatalità». «Non volevo ucciderlo - si è difeso l'uomo - certo ho rimproverato Vipa perché era rientrato tardi per l'ennesima volta, abbiamo discusso e siamo anche venuti alle mani. Io ho brandito un coltello, lui me lo ha strappato di mano e ha spezzato la lama, poi è corso in cucina, ha preso un altro coltello e accostandolo al polso mi ha urlato "guarda papà.
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