Cultura e Spettacoli

Il mio nome è Tont, James Tont

Nel 1962 esce Agente 007. Licenza di uccidere di Terence Young, film innovativo, solo che all’inizio nessuno lo sa. Alla prima proiezione, al Lux di Genova, vanno due spettatori: chi scrive e la nonna. Nel 1963 esce Agente 007. Dalla Russia con amore, che è meno riuscito, ma ha già un pubblico ad aspettarlo. Nel 1964 esce Agente 007 Missione Goldfinger, meno riuscito ancora, ma annunciato da enorme pubblicità... Il mito Bond è nato.
Per difendere la loro quota di mercato, i cineasti italiani puntano sulla mimesi e danno... i numeri. Inizialmente 077, 777, 2007... Poi anche 1, 3, 8, 9, 55, 83, 212, preceduti e/o seguiti da una o due lettere, specie la «S». Un elenco di questi film, che talora raggiungeranno il mercato americano (quasi mai quello britannico), è nel dizionario redatto da un cinefilo entusiasta dei film minori, Marco Giusti: 007 all’italiana (Isbn Edizioni, pagg. 300, euro 35).
Oggi il filone dello spionaggio nostrano è più dimenticato di quello coevo - ma più duraturo e redditizio - dello spaghetti-western. Infatti nessuno dei suoi personaggi è entrato - come quelli senza nome di Clint Eastwood, il Ringo di Giuliano Gemma e il Django di Franco Nero - nella memoria collettiva. Quelle spie non lavorano per il Paese che ne produce o coproduce i film. Un agente italiano non pare credibile proprio agli italiani. E poi l’agente migliore non è quello di cui s’ignora che esista?
Invece Bond, come Harry Palmer (Michael Caine), lavora per la Gran Bretagna. Flint, Matt Helm (Dean Martin) e Napoleon Solo (Robert Vaughn) lavorano per gli Stati Uniti. Accanto a Napoleone Solo, trova spazio - c’è la «Distensione» - perfino l’agente sovietico Ilya Kuryakhin (David McCallum).
I francesi invece s’identificano chi nei prodotti nazionali, come la Tigre (Roger Hanin) o il Gorilla (Lino Ventura, cittadino italiano, peraltro); chi nel franco-americano Hubert Bonisseur de la Bath, alias Oss 117, ruolo che passa dall’americano Kerwin Mathews all’austriaco Frederick Stafford e all’americano John Gavin; solo ora, in chiave parodistica, il personaggio tocca al francese Jean Dujardin.
Senza quindi ostentare patriottismo, nemmeno patriottismo atlantico (i cattivi non sono quasi mai russi o comunisti), gli 007 all’italiana contribuiscono a equilibrare la bilancia dei pagamenti dell’Italia nella «congiuntura». E finanziano indirettamente i film di Antonioni, Fellini e Visconti, che spesso non rendono ciò che costano. Idem per i film di Totò o di Franco Franchi & Ciccio Ingrassia: ma questi ultimi arrivano solo in Somalia, Eritrea e Canton Ticino...
James Bond non ha il nome nel titolo, se non storpiato in James Tont nei due film con Lando Buzzanca. Ugualmente l’agente Flint di James Coburn diventa l’agente Flit di Raimondo Vianello. Paradossalmente è chi ha il nome nel titolo a non reggere la prova del tempo: Jo Walker, Jerry Land, Mark Donen, Dick Smart, Jeff Gordon, Perry Grant, Ray Master. Sono tutti mono o bi-sillabi, ma neanche questa accortezza li fa rammentare.
Perché quei film incassano, fra 1964 e 1968? Forse perché, come nota Giusti, i titoli evocano località esotiche. Hong Kong, Giamaica, Berlino, Istanbul, Lisbona, Baalbeck, Caracas, Los Angeles, Marrakesh, Tokio, Bangkok, Amsterdam, Beirut, Cairo, Tangeri, Casablanca, Londra, Toledo... Toponomastica da sogni adolescenziali per un Paese dove si viaggia ancora essenzialmente per emigrare.
Allora quasi onnipresente - gli spaghetti-western sono spesso terzomondisti - la politica si fa sfuggente, negli 007 all’italiana. Nel 1964 Antonio Segni, presidente della Repubblica, è colto da ictus durante un alterco con Aldo Moro al Quirinale. Nel 1967 emerge che Segni, poco prima del malore, avrebbe «auspicato» un colpo di Stato del generale De Lorenzo. Ma solo Colpo sensazionale al servizio del Sifar, di José Luis Merino, cita il servizio segreto militare in un film la cui trama non allude nemmeno ai fatti che per Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi sarebbero accaduti.
La Guerra fredda poi affiora solo da intrighi di poco credibili neonazisti. Perché il problema è trovare un cattivo temibile per tutti, tranne che per gli incassi. Esso non può essere comunista, perché uno spettatore su tre vota Pci. Non può essere fascista, perché uno spettatore su venti al nord e uno su sei da Roma in giù, votano Msi. Non può essere pedofilo, perché gli anormali non sono ancora additati come mostri. Allora può essere solo l’apolide ricco, corrotto e corruttore, assetato di potere, ma non ideologizzato. L’ennesimo ricalco bondiano: quello del Dr.

No.

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