«Mio padre poliziotto è stato ucciso. L’assassino? Già libero»

Caro direttore,
sono Alessandro Tufilli, figlio dell'Ispettore della Polizia Carlo Tufilli, deceduto nell'adempimento del dovere il 22 giugno dell 1996 a Roma per sedare una rapina sul trenino locale che collega la stazione Termini con la periferia sud di Roma. Cerco di riassumere in poche parole l'accaduto per poi spiegarvi il mio problema, o meglio, la mia preoccupazione. Terminato il turno di servizio, mio padre stava tornando a casa, e come ogni altro giorno, lo faceva utilazzando il trenino in questione. Quasi all'altezza della fermata dove lui sarebbe dovuto scendere, si accorse di due ragazzi che, pistola in mano, tentavano di rapinare il vagone accanto al suo. Giunto alla fermata decise di scendere e, sparando un colpo in aria, intimò ai due rapinatori di gettare le armi, i quali, sentito lo sparo, scesero e iniziarono a sparare entrambi verso mio padre. Durante la sparatoria rimasero uccisi mio padre e uno dei rapinatori; l'altro, rifugiatosi a casa, fu catturato il giorno dopo dalla Squadra Mobile. È proprio quest'ultimo il motivo principale di questa lettera. A questo signore, Maurizio De Lucenti, oggi quasi quarantenne, gli furono riconosciuti tutti i capi di imputazione e, in sede definitiva di condanna, gli furono dati 24 anni di pena detentiva in carcere. All'epoca del processo, avevo da poco compiuto 10 anni, ma gia mi sembrava ridicolo l'esito della sentenza. Ora però, all’assassino di mio padre, giunto a metà della pena è stato concesso il regime di semilibertà, il che vuol dire che il carcere per lui è diventato un ostello in cui ha una camera riservata tutte le sere per andare a dormire. Ora mi chiedo, è giusto, è possibile, che quest'uomo, che oggi ha l'età di mio padre quando fu ucciso, possa circolare liberamente di giorno e possa svolgere una vita al 70 per cento normale, quando ha ancora da scontare 11-12 anni di pena detentiva in carcere, mentre la mia famiglia è distrutta e lui invece ha tutta la possibilità di crearsene una e vivere come se nulla fosse accaduto? I 24 anni di pena erano gia pochi, l’indulto li ha ridotti ancora, i benefici della semilibertà hanno fatto il resto: è possibile che la vita di un uomo o una vita normale di una famiglia valga cosi poco, o per meglio dire, non valga nulla? Premetto che anche io da quattro anni sono un appartenente della Polizia di Stato. Ogni anno in Italia si sente parlare dai telegiornali e dai giornali di appartenenti alle forze dell'ordine caduti per l'adempimento del loro dovere. Ma per quanto tempo? Nessuno sa mai che fine fanno gli autori di tali crimini. Vi chiedo di far sapere a tutte quelle persone che lo ignorano in che modo vengono scontati i pochi anni di carcere comminati a un assassino che ha ucciso una persona e distrutto una famiglia.

Alessandro chiude la lettera augurandosi di essere stato «abbastanza chiaro». Lo sei stato Alessandro. Sei stato molto chiaro. I lettori del «Giornale» conoscono bene il problema che denunci: sul buonismo dei magistrati e sulla eccessiva generosità con cui vengono distribuiti ai detenuti permessi premio e semilibertà abbiamo sempre scritto in abbondanza, denunciando scandali e abusi.

Eppure, di fronte alla tua lettera, così dura nella sua semplicità, non possiamo fare a meno di sentirci tutti toccati sul vivo: è vero che quando una famiglia subisce una tragedia come quella che avete avuto voi, nessuna severa condanna sarà mai sufficiente. Ma dodici anni per un simile assassino sono troppo pochi. E vedere il suo ghigno in libertà prima ancora che le ferite laceranti del dolore si siano rimarginate, al contrario, è davvero troppo.

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