Cultura e Spettacoli

Miopia e pregiudizi Venti anni di cultura anti berlusconiana

Il saggio dell'ex ministro Sandro Bondi sugli "inquisitori" della caccia a Silvio. Dai giudizi del decano Bobbio ai deliri da codice penale di Tabucchi. E i maestri Eco e Bocca? Invece di analizzare preferiscono insultare

Miopia e pregiudizi 
Venti anni di cultura  
anti berlusconiana

C’era un tempo l’egemonia culturale della sinistra fondata sul marxismo. All’inizio degli anni Novanta, il comunismo è stato sconfitto. Ai suoi seguaci ha lasciato in eredità la certezza assoluta della propria superiorità intellettuale e morale. Quando Silvio Berlusconi appare sulla scena politica, il mondo della cultura entra in fermento e rinserra le fila. Ecco un nuovo nemico da abbattere. Ecco la sintesi di quanto avevano disprezzato: il capitalismo, il mercato, la borghesia liberale moderata ma non bacchettona. Succede l’incredibile: Berlusconi vince, impedendo alla sinistra di salire al potere. Il disprezzo diventa odio. La storia di vent’anni di ostilità contro il Cav (e contro i suoi elettori) è ora raccontata da un testimone con posto in primissima fila, l’ex ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, autore di La cultura è libertà (Mondadori, pagg. 168, euro 18, in libreria dal 3 maggio).

A parere di Bondi, la tesi centrale della sinistra è questa: Berlusconi ha vinto con l’inganno, perpetrato attraverso la televisione commerciale, capace di addormentare le coscienze degli italiani. Lui, il premier, incarnerebbe «il modello assoluto e vincente di un mondo immaginario creato apposta dai varietà». Idea inconsistente da qualunque parte la si giri. Si veda a esempio quanto scrive Franco Debenedetti, di certo non filoberlusconiano, nell’illuminante La guerra dei trent’anni (Einaudi). Idea che piace a molti. Impossibile ricordare tutte le prediche contro la tv, genere per altro tuttora in voga. Bondi ricorda uscite d’epoca che vanno da Gianni Vattimo fino a Mino Martinazzoli, passando per Piero Ottone. Citiamo però quella che ebbe maggiore eco nei media, e che tuttora viene citata in continuazione, forse inconsapevolmente. Norberto Bobbio scrisse nel 1994: «Non ha vinto Berlusconi in quanto tale, ha vinto la società che i suoi mass media, la sua pubblicità, hanno creato. È la società che gode nel vedere insulse famiglie riunite intorno a un tavolo che glorificano questo o quel prodotto». Riassumendo: «La società creata dalla tv è una società naturaliter di destra».

Se la televisione è frode, compito degli intellettuali è dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Provengono da questa convinzione, vissuta come una missione moralizzatrice, i pamphlet di Zagrebelsky o Carofiglio sulla manomissione delle parole operata dal capo, gli sproloqui sulla neolingua berlusconiana, le campagne contro alcune trasmissioni tv, a esempio Striscia la notizia. A volte però troppa «verità» confonde e impedisce di capire la realtà, al di là dei pregiudizi. Paolo Flores d’Arcais, dopo la sconfitta del centrosinistra nel 2001, commentò così su Micromega: «Quasi nessuno ha voluto assumere i risultati elettorali per quello che erano e che i numeri dicevano, incontrovertibilmente: una netta maggioranza antiberlusconiana nel Paese, che produce una ancor più netta maggioranza berlusconiana in Parlamento».
Secondo Bondi, quando a tutti fu chiaro che il Cav non era un fenomeno passeggero, si finì col teorizzare la coincidenza fra cultura e antiberlusconismo. Chi non è d’accordo è un nemico. Che il silenzio lo ricopra. È un crescendo. In cui spicca Umberto Eco, che nel 2001 divide l’elettorato di centrodestra in ignoranti semplici e in ignoranti in malafede. Un atteggiamento superbo già sfoggiato da Giorgio Bocca nel 1994, quando liquidò la maggioranza come «prevalenza del cretino» volgare e idiota. Il sadico Bondi poi documenta anche le sparate folcloristiche. Il regista Paolo Virzí, a esempio, durante gli exit poll del 2008 disse di essere preoccupato dai risultati al punto da voler prendere «un Lexotan» e sbattersi «sotto le coperte» perché non ce la faceva «ad affrontare la sberla». Molti non hanno saputo resistere e hanno tirato fuori le dittature sudamericane o il ritorno del fascismo. L’elenco è senza fine, da Bobbio ad Asia Argento. Forse un riconoscimento speciale spetta ad Antonio Tabucchi, in poche righe capace, nel 2003, di accusare Berlusconi «di essere rispettivamente un mafioso, un fiancheggiatore della strategia della tensione, un finanziatore dei servizi segreti».

Aggiungiamo un’osservazione. In campo culturale l’antifascismo si è trasformato in antiberlusconismo. In questo modo, la vecchia guardia di sinistra si è arroccata nella difesa della propria immaginaria superiorità. È vero ma è solo una parte della questione. Il centrodestra è sdoganato politicamente dal 1994. In quasi vent’anni non è riuscito a proporre in modo convincente la propria visione della cultura nel senso più ampio del termine, che prescinde dall’operato dei vari ministri del Collegio Romano.

Se lo avesse fatto, facendo circolare l’idea che lo Stato, qualora invadente, non è la soluzione bensì una parte (grossa) del problema, forse alcune riforme sacrosante, penso alla scuola, alla giustizia, alla distribuzione del Fus, avrebbero incontrato minori ostacoli.

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