Mira Milosevic

Dietro i tiranni ci sono loro: ambiziose, capricciose, crudeli. Vittime di compagni spietati, ma anche loro anime nere

Mira Milosevic

L’hanno messa nelle lista dei most wanted. Ricercata per terrorismo insieme alla figlia Raghd. La sua colpa è aver sposato Saddam Hussein, il resto è solo una conseguenza. Sajida Khairallah Tulfah vive in Qatar, Paese che le ha garantito l’asilo e che non intende estradarla, come richiesto dal premier iracheno Nouri al Maliki. Dicono che da lì continui a finanziare i gruppi dei ribelli, legati all’ex partito Baath. Non c’è ricompensa per chi la cattura, semmai è lei a dover fare i conti con i propri ricordi. Sajida è la prima delle tre mogli dell’ex raìs, la mamma di Udai e Qusay, cugina del marito, parte dello stesso clan: il matrimonio, tanti anni fa, l’avevano combinato loro. Accanto al marito si è vista poco e malvolentieri, anche perché Saddam le aveva preferito da tempo Samira Fadel Shahbandar, bellissima, ricca, aristocratica, ora fuggita dalle parti di Beirut. Forse le accuse sono vere. Sajida si è rassegnata alla solitudine, e il buio della notte non le porta di certo la pace. È il destino delle spose del diavolo. Dietro i tiranni ci sono loro, l’altra metà dell’inferno. A volte si fondono nella figura del marito, altre volte ne sono l’anima nera, difficile spesso distinguere la vittima dal carnefice. Sono donne capricciose, assetate di ricchezza, complici affascinate del potere. Ma anche prigioniere di compagni senza pietà.
Imelda Marcos il marito l’ha perso per sempre, ma al contrario di Sajida non è stata ripudiata dalla sua gente, che pure ha tormentato. Frivola, megalomane e crudele, per tutta la vita è stata perseguitata dalla bulimia, dall’insonnia e dalla paura di invecchiare. Per combattere le rughe si era fatta installare un generatore di ioni che purificava l’aria del palazzo presidenziale. Un palazzo che lei volle su misura per le sue cosucce: 54 stanze comprese di cappella, discoteca, gallerie di marmo, biblioteche di libri antichi, sedie di giada e quadri di Picasso: «Dicono che sono stravagante perché voglio essere circondata da belle cose. Perché, a voi piace vivere nell’immondizia?». Era bellissima. Un metro e settandue di incantevole nulla. Uscì da un’infanzia di miseria convinta che nulla le fosse impossibile. Fece suoi tutti i concorsi di bellezza prima di far suo Ferdinando: bastarono undici giorni di corteggiamento. Quando fuggì dal Paese in rivolta aveva 32 valigie imbottite di 10 milioni di dollari e altrettanti nascosti in conti esteri cifrati. Non riuscì a portare via il resto: 182 Mercedes, 42 aerei, 15 barche e uno yacht di 85 metri. La chiamavano Farfalla d’acciaio o Rosa carnivora, dal marito accettò di tutto, anche quattro figli avuti da un’altra, indifferente alle torture e agli omicidi del regime. Oggi 76enne, colleziona ancora scarpe, ne ha più di tremila paia, ed è tornata a vivere a Manila. Crede di essere quello che ha. Dice: «Sono stata la madre di questo Paese e voglio continuare ad esserlo».
Lucia Hiriart invece ancora adesso è un’ombra che fa male. Il marito Augusto Pinochet è accusato di aver eliminato più di tremila avversari politici. Ma di lei aveva una paura atroce, era l’unica legge a cui obbediva. Lo comandava anche nella dieta. Se lui in aereo chiedeva del vino, lei richiamava la hostess: «Guai a te. Portagli solo un po’ d’acqua...». Avida e ambiziosa, fu lei a istigarlo al golpe usando i figli come alibi. Non ha mai avuto paura di compromettersi: «Anzi, fossi io al governo sarei molto più dura di mio marito». Le torture e gli omicidi non la commuovono. Gli oppositori? «Cani rabbiosi pronti a mordere la mano del padrone». Pinochet si vendicava solo a letto: annotava sull’agenda i minuti che era disposto a dedicare al sesso ogni settimana. E poi li cancellava con un altro impegno. Maniaca dello shopping, si faceva aprire i negozi esenti da tasse per saccheggiarli. Ma il carcere alla fine lo ha assaggiato anche lei per evasione fiscale: fra il 1984 e il 2004 i Pinochet hanno evaso il fisco per più di 17 milioni di dollari. L’ultima stazione di chi arriva alla fine della corsa.
Una difficile da immaginare bambina è anche la moglie del caudillo argentino Jorge Videla, Alicia Hartridge, crudele, ma senza darlo troppo a vedere, cattolica devota, ma così lontana dal dolore e dalla pietà da abbandonare il figlio oligofrenico a un’anonima morte in ospedale. L’esatto opposto di Susana Higouchi, che del marito Alberto Fujimori è stata vittima e giustiziera. Si è ripresa la sua metà di cielo e gliel’ha fatta pagare salata. Pensare che, entrambi professori di liceo, entrambi di origini giapponesi, fu proprio lei, buttando sul piatto il suo notevole patrimonio di famiglia, a elevarlo alla presidenza del Perù. Diventò la sua peggior nemica quando lui volle di più: diventare dittatore. Lo denunciò come corrotto, si oppose a un divorzio capestro, si candidò come sua rivale. Lui la fece torturare: cinquecento sedute di scariche elettriche che la portarono quasi al coma. Lui spiegò le bruciature sul cuoio capelluto della moglie attribuendole a un trattamento per smettere di fumare. E promulgò una legge per impedirle di candidarsi alle elezioni. Ma lei era abbastanza forte e abbastanza cinica per sopravvivere. Ora Susana ha un seggio in Parlamento, lui è in esilio in Giappone.
Condannata dalla storia a restare sola è anche Miriana Markovic, che leggenda vuole fosse la figlia segreta di Tito. Era così legata al marito, Slobodan Milosevic, che nel carcere del Tribunale penale dell’Aja era vietato lasciarli soli. Temevano un doppio suicidio. Lui del resto l’adorava, sempre mano nella mano e occhi negli occhi. Lei sempre pallida, sempre vestita di nero, sembrava sempre ma non era mai. Fragile, timida, dal pianto facile, ossessionata dalla pettinatura e dagli antidepressivi, in realtà è stata il braccio armato di Slobo. Lui non la portava mai nei suoi viaggi ufficiali, ma non viveva senza i suoi consigli. Durante i negoziati di Daytona le telefonò per chiederle cosa fare con Clinton e i due rappresentanti bosniaco e croato. Un profilo della Cia spiegò che Milosevic l’aveva rivestita del ruolo della madre, suicidatasi quando lui era un ragazzo. In Serbia c’è sempre un ordine di arresto che pende sulla sua testa, e che le ha impedito persino di lasciare la Russia, dove vive in esilio, per i funerali del suo adorato Slobo. È seppellito lontano da lei. E per Mira non c’è peggior tortura.
Il destino che non ha avuto Elena Petrescu, moglie di Ceausescu. Anche lei aveva le sue ossessioni: soffriva per non aver studiato. Non aveva nemmeno finito le elementari, era appena capace di leggere e scrivere, ma una volta vice del marito si fece assegnare una laurea in chimica mai ottenuta, e nominare presidente del principale istituto di ricerca chimica del Paese. Costrinse scienziati di fama a cederle i risultati delle loro ricerche per potersene vantare nelle assisi scientifiche internazionali.

Cercava riconoscimenti accademici, lauree honoris causa. E proibì ai giornali di pubblicare fotografie del marito senza di lei al suo fianco. Anche l’ultima immagine li ritrae insieme, cadaveri, dopo l’esecuzione. Nessuno porta fiori sulla sua tomba.

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