Miracolo di Ivorra

Spagna, anno 1010. A Ivorra, nella chiesa dedicata a Santa Maria, il sacerdote Bernat Oliver sta dicendo messa. A quei tempi il punto culminante della celebrazione era la Transustanziazione, non l’omelia come adesso. Così. Mentre si avvicinava il momento fatidico, una subdola tentazione gli entrò in testa e cominciò a lavorare: quel che teneva in mano era un’ostia di pane, l’aveva vista lui stesso fare dalle monache; certo, ci voleva un sacco di fede per ammettere che sarebbe diventata davvero il Corpo di Cristo e in modo effettivo, non simbolico. È così che le tentazioni entrano, in effetti: si insinua il dubbio e lo si lascia macerare nella mente. Solo che, quella volta, mentre l’Oliver alzava il calice, il vino diventò sangue davanti ai suoi occhi, sangue rosso insomma, e traboccò sulla tovaglia dell’altare, colando perfino per terra. Subito si mandò a chiamare il vescovo competente, che era quello di Urgel. Questi, che era s. Ermengol, venne e constatò di persona. Era stato consacrato giusto in quell’anno e sarebbe rimasto in cattedra fino al 1035. Il santo vescovo, dopo l’inchiesta, andò a Roma a fare rapporto al papa. Quest’ultimo, Sergio IV, prese atto delle risultanze e ufficializzò l’avvenimento con una bolla apposita. Quarantacinque anni dopo, il nuovo vescovo di Urgel, Guillem, depose solennemente il documento pontificio e le reliquie del miracolo (tovaglia macchiata e calice) nell’altare maggiore dell’appena inaugurata chiesa parrocchiale di Ivorra, dedicata a s. Cugat.

Ancora oggi Ivorra festeggia la “Santa Duda” (“dubbio”, in spagnolo) nel santuario.

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