nostro inviato a Savignano Irpino (Avellino)
Il Tir oscilla, sbuffa e avanza a fatica, di potenza, sulla malridotta carrettiera. «Eccolo, il vero problema», spiega Edoardo, che quasi ogni giorno arriva qui con il suo carico di rifiuti da Avellino. «La discarica di Savignano è un orologio, dopo i primissimi giorni non si è più visto un manifestante, tutto fila liscio. Ma il percorso per arrivarci senza passare per il paese è assurdo. Questa strada ha bisogno di un bel po’ di lavori».
Passa da qui, da questo piccolo comune irpino della Valle del Cervaro, al confine con la Puglia, la normalizzazione dell’emergenza rifiuti in Campania. La discarica della Pustarza è uno dei dieci nuovi siti indicati nel decreto rifiuti, la cui pubblicazione a maggio scorso aveva innescato violente proteste in tutta la regione. Savignano non aveva fatto eccezione: sul sito internet ufficiale del Comune, ancora oggi, sono visibili i video degli scontri, violenti, tra manifestanti e polizia. Eppure ora le strade sono libere, deserte, niente comitati di protesta e neppure schieramenti in massa di forze dell’ordine. Di fronte al cancello di ingresso della discarica i camion aspettano in fila il loro turno per entrare e svuotare i cassoni nell’unica delle quattro vasche di sversamento previste già realizzata. Sarà piena per metà settembre, ma la seconda è quasi pronta.
È solo il sole d’agosto che ha fatto evaporare la protesta e sparire presidi e blocchi stradali? O è la presenza dei militari dell’Aeronautica che vigilano sul sito 24 ore su 24? Dietro gli occhiali a specchio, un maresciallo in mimetica avanza un’altra ipotesi. «La nostra presenza non ha impedito che nei primi giorni dell’apertura, all’inizio di giugno, i comitati per il «no» fossero qui davanti ad applaudire sarcasticamente l’ingresso dei compattatori, a fischiare e a protestare contro la nostra presenza. La verità è che la gente, qui, in questi due mesi ha capito che questo posto viene gestito seriamente. E che i soldati sono una garanzia per la popolazione: aiutano a impedire che nelle vasche finiscano schifezze e veleni».
L’iter di «accettazione», in effetti, sembra scrupoloso. Quando arriva il suo turno, l’autoarticolato verde di Edoardo si infila nella struttura. Un militare applica al cassone la sonda dell’intensimetro di contaminazione, che rileva l’eventuale presenza di radioattività nel carico. L’indicatore non si muove, così il Tir e la sua «monnezza» proseguono al secondo controllo, dove il camion viene pesato e si stila una scheda con la provenienza del carico e il tipo di rifiuti: qui si possono sversare solo il Fos (la frazione organica stabilizzata residuo della lavorazione degli impianti di combustibile da rifiuti) e il «tal quale». Il camion a questo punto viene scortato fino alla vasca, e si controlla durante lo scarico che non ci siano «rifiuti non conformi»: mobili, pneumatici, rifiuti speciali od ospedalieri. Se ci sono, vengono prelevati e l’autista se ne torna a casa con un verbale. «Siamo molto severi, ed è doveroso anche nei confronti di chi ha suo malgrado dovuto accettare di averci nel suo territorio», spiega il direttore della discarica, Liberato Imperato. «Per esempio, i primi giorni abbiamo multato tantissimi camion e compattatori che perdevano percolato dai cassoni. Ora non succede praticamente più, perché le aziende che sversano qui hanno capito l’antifona e ora i mezzi vengono impermeabilizzati prima di ogni carico».
Insomma, niente più liquami puzzolenti lasciati per strada dai cortei di Tir. Che, prima di partire dalla discarica, vengono nuovamente pesati e passano per il lavaggio e la disinfezione delle ruote e delle parti che possono essere entrate in contatto con i rifiuti al momento dello scarico. «La gente comincia a capire. Si accorge dell’accuratezza dei controlli e del nostro sforzo per minimizzare l’impatto sul territorio», spiega ancora Imperato: «Io stesso ho subito tre aggressioni, nei momenti più caldi della protesta, ma ormai la popolazione di Savignano è tranquilla. Qui abbiamo tre dipendenti di Savignano, altri di Ariano. La voce che lavoriamo con scrupolo circola».
E un segnale che le cose sono cambiate è proprio in quella che, ora, appare la vera criticità. E non sono proteste, incidenti, picchetti del fronte del no. È una questione solo logistica. «Quella strada ci sta stretta», sospira ancora il direttore. Parla del tratturo di cui si diceva all’inizio. Cinque chilometri di percorso, fino alla stazione di Montaguto, lungo la strada Ciccotondo, che i 70 camion che fanno visita alla discarica devono affrontare quotidianamente. Il manto (si fa per dire) stradale è in pessime condizioni, buche e voragini sono ovunque, e il nuovo «traffico» peggiora le cose.
La strada è ancora impervia, ma l’ostacolo alla chiusura del ciclo dei rifiuti ora sono le buche, non le barricate.
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