Mirandolina? Una «piccola belva»

Al Ghione il vaudeville raffinato e spietato «Nina» di Roussin

Laura Novelli

Dalla farsa ai classici rivisitati; dalla commedia fustigatrice dei costumi alle novità in debito verso la drammaturgia del Novecento: spaziano nei secoli e nei generi più diversi molti dei debutti teatrali di questa sera. Possiede, per esempio, tutti i gustosi pregi del vaudeville la pièce Nina, titolo cult del francese André Roussin (1911-’87) che Claudio Insegno presenta al teatro Ghione su traduzione e adattamento di Giovanni Antonucci. Ritmo sostenuto, imprevedibilità, situazioni al limite del parossistico danno mordente a un curioso ménage à trois che mette in conflitto un marito non troppo risoluto (Adolphe), un amante libertino ma in fondo fragile (Gerard) e una moglie assolutamente vincente (Nina). Gli spunti di originalità non mancano e offrono anzi la possibilità a tre bravi interpreti come Caterina Costantini, Cosimo Cinieri ed Emanuele Salce (affiancati in scena da Paolo Bonanni e Stefano Meglio) di osare toni agrodolci ed espliciti dal sapore moderno (repliche fino al 12 febbraio).
Movimentate schermaglie amorose sono pure al centro de La locandiera, capolavoro di Goldoni riproposto ora al Vascello (in cartellone fino al 5 marzo) in uno storico allestimento di Giancarlo Nanni risalente all’80, dove il regista si preoccupa innanzitutto di restituire la voglia di serenità e di ridere propria del testo: «Le ragioni del riso - spiega - sono molto più universali di quelle del pianto; si ride oggi in Italia per le stesse ragioni per cui si ride in Giappone o si rideva ai tempi di Goldoni». Tanto più che l’ambientazione della commedia perde i suoi originali connotati settecenteschi per acquistare quelli di una locanda degli anni Cinquanta, puntellata di palme esotiche e luci al neon: è questo il regno della luminosa Mirandolina (locandiera fiorentina che fa innamorare di sé schiere di pretendenti e che il regista definisce «una piccola belva, ma anche un personaggio lieve e privo di residui moralistici, con i riflessi pronti e sempre all’erta») cui dà vita, allora come adesso, Manuela Kustermann. Nel ruolo dello scontroso Cavaliere di Ripafratta troviamo invece Pietro Bontempo, affiancato da un ottimo cast (il lavoro è dedicato ad Alessandro Vagoni, attore scomparso di recente che nell’edizione di 25 anni fa figurava tra gli interpreti).
È invece un testo di Agota Kristof portato per la prima volta sulle nostre scene John e Joe, pièce dalle sfumature burlesche divisa in tre quadri (o meglio, in tre giornate) che Pietro Faiella dirige al teatro India guidando una compagine di interpreti composta da Massimo Olcese, Adolfo Margiotta e Vito Favata attraverso un tracciato di temi scottanti quali il bisogno dell’altro come canale di auto-conoscenza e l’avidità che compromette relazioni e buoni sentimenti. Sul banco degli imputati ci sono qui due amici alle prese con una ricca vincita al lotto.
Appartiene infine ai migliori lavori che la giovane ricerca italiana abbia prodotto di recente Le Troiane di Serena Sinigaglia, inquietante affresco pacifista elaborato a partire da Euripide (su traduzione di Laura Curino) e dall’Iliade nell’intento di pronunciare un eloquente no alle guerre di tutti i tempi.

Lo spettacolo, già applaudito in diverse piazze della Penisola e in programmazione alla Cometa Off tra le proposte della rassegna Let solo questa sera e domani, mette a confronto la femminilità ferita e negata della grande tragedia euripidea con l’epopea maschile di Omero, puntando sull’incisiva coralità di un dramma epocale aperto a materiali e riferimenti dell’oggi.

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