
Secondo Romain Rolland, Nobel per la Letteratura 1915 e fine biografo beethoveniano, la "Messa in re maggiore op. 123", nota come "Missa solemnis", è "un'opera grandiosa, paragonabile alla Sistina di Michelangelo": l'artista romantico, al culmine del genio creativo, trapassa la dimensione umana per osare un'intuizione celeste: "È il testamento di una vita, arricchito da un'esperienza struggente". Il musicologo Donald Jay Grout la definì "una dichiarazione profondamente personale e al contempo confessione universale di fede". La ascolteremo alla Scala, da oggi a giovedì (ore 20), con l'Orchestra del Piermarini diretta da Fabio Luisi, già assiduo frequentatore del repertorio beethoveniano - anche sacro - alla testa della poderosa Staatskapelle Dresden che ha diretto stabilmente dal 2007 al 2010. Solisti Rosa Feola, Elizabeth DeShong, Sebastian Kohlhepp e Hanno Müller-Brachmann.
Inestimabile tesoro della mente e dell'anima, la "Missa" per quattro soli, coro, orchestra e organo fu composta fra il 1819 e il 1823 in occasione dell'investitura arcivescovile di Rodolfo d'Asburgo, ed eseguita per la prima volta a San Pietroburgo nell'aprile del 1824, a breve distanza della coeva "Corale" con cui condivide l'impianto imponente e il messaggio senza tempo. Scrive Piero Buscaroli: "Contemplata in tutte le sue cinque parti, la Missa rivela quella simultanea presenza dello smisurato disegno e della concentrazione ornamentale propria delle ultime fabbriche di un'architettura matura". Il "Kyrie" iniziale fonde solennità, senso del sublime e raccolta dolcezza; più frammentato il "Gloria", che sconcerta per gli imprevedibili scarti drammatici e i contrasti fonici; il "Credo", centro della composizione, scolpisce un perentorio imperativo di fede e volontà; l'organico si assottiglia nel "Sanctus", mistica "parentesi di concentrazione" (così Ernesto Napolitano). Meditazione sul destino ultimo dell'individuo e dell'uomo, l'opera è anche un potente - e attuale - invito alla pace, come rivela la preghiera nel conclusivo "Agnus Dei", pur insidiata da trombe e timpani a evocare spettri di guerra. Sterminata la discografia, da cui si può seguire l'evoluzione della prassi esecutiva nell'ultimo secolo: dalle storiche incisioni di Toscanini (Nbc), Klemperer (New Philharmonia) e Boehm (che la diresse per tutta la carriera) all'immancabile e sontuoso Karajan (Berliner Philharmoniker e Wiener Singverein), dallo struggente Leonard Bernstein (Concertgebouw Amsterdam) al rigoroso Carlo Maria Giulini (con la londinese Philharmonia), da Levine a Barenboim, Solti, Haitink, Wand, Szell, Ormandy, fino ai "filologi" che tornano alle fonti autografe come il pionieristico Nikolaus Harnoncourt, John Eliot Gardiner, Philippe Herreweghe e di recente (2023) il catalano Jordi Savall.
Curiosità: il leggendario Wilhelm Furtwaengler, immenso interprete beethoveniano (Claudio Abbado giudicava le sue nove sinfonie le meglio eseguite di sempre), confessò di non sentirsi all'altezza della "Missa": si ha memoria di sparuti concerti viennesi risalenti agli anni '20, poi più nulla.
Una perla rara? La registrazione di Jascha Horenstein (1961) con Stich-Randall, Procter, Lewis e Borg, recentemente riemersa dagli archivi Bbc. Al di là delle letture della "Missa", "ciò che essa fa sentire - commentò il compositore e teorico André Boucourechliev - è la voce trionfante dell'uomo-creatore".