La missione impossibile di Prodi

La missione  impossibile di Prodi

Arturo Gismondi

È fatica sprecata quella di coloro che chiedono all’Unione, e al suo candidato, di capire qualcosa del programma, o dei progetti, di quel tanto di fisionomia politica che serve a capire quale sarà il futuro di questo Paese nel caso la sinistra vincesse le elezioni della primavera del 2006, che non sono poi così lontane. Vorrebbero saperlo i giornali, quelli che si sforzano di appoggiare il centrosinistra, i militanti e quelle aree elettorali che, meno fideistiche, non nascondono le loro perplessità. Buon ultima è arrivata la società di rating Standard & Poor’s che, dovendo esprimere una previsione sul futuro mette insieme alle note difficoltà ecomiche l'enigma di una opposizione che non ha l’aria, vista da vicino o da lontano, di rappresentare una alternativa credibile, o anche solo decifrabile.
Romano Prodi continua a rispondere, come ha fatto di recente su La Stampa, che a nessun candidato si chiede il programma a tanti mesi dalle elezioni. Il candidato premier finge di non capire, o peggio non capisce davvero. Nessuno di coloro che si interrogano sulle intenzioni dell’Unione, pretende di avere per le mani un libretto, un dépliant di quelli che i partiti fanno circolare nelle ultime settimane di campagna elettorale contenenti un elenco di impegni, di misure più o meno realistici. Gli interrogativi riguardano la possibilità che da un coacervo di forze eterogenee e di spinte contrastanti come quelle messe insieme dall’Unione venga fuori un programma in senso lato, un progetto, un’idea di governo e di società per la prossima legislatura.
Quel che è chiaro, fin qui, è che l’opposizione ripone le sue maggiori speranze nelle difficoltà della attuale maggioranza, in quelle di una situazione economica che certo non è delle migliori, soprattutto conta su quella sorta di fobia ossessiva nei confronti di Berlusconi che di recente ha dato eloquente prova di sé nel costringere un personaggio come De Benedetti a un umiliante rito di autocritica per aver osato mettere insieme il diavolo, se stesso, e l’acqua santa in un progetto economico del quale nessuno si è preoccupato di sapere di più del necessario giacché l’importante è mettere insieme un’anatema, una fatwa di quelle che non ammettono repliche né alternative. Ad irrobustire questi settori di opinione pubblica provvede, sulla scia della lotta scatenatasi per il controllo del potere finanziario, una campagna dietro la quale appare il fantasma di un nuovo giustizialismo che non risparmia neppure il più forte dei partiti dell’Unione.
L’episodio, e lo stato d’animo che lo sottende, dovrebbe da solo convincere i saggi dello S&P ma anche i buoni consiglieri, gli Ichino, i Salvati, i Macaluso della inutilità di ulteriori indagini sul programma dell’Unione prodiana. Si tratta, in verità, di un compito proibitivo trattandosi per il povero Prodi al quale si chiede di mettere insieme i deboli riformismi dei Ds, le posizioni centriste di Rutelli e di Mastella con le intenzioni della sinistra radicale, dalla politica estera al terrorismo, al governo economico della crisi che va fino agli slogan su «un nuovo modo di governare è possibile», la via di fuga di quel tanto di utopico che sopravvive e che si fa sentire nelle fasce extra-parlamentari con le quali deve fare i conti Bertinotti nel suo stesso partito.
La risposta a interrogativi di questa natura è del tutto ardua per chicchessia, i buoni consiglieri invitano al coraggio imposto alla sinistra dal futuro che impone riforme sociali coraggiose, fin qui scontratesi sempre con le resistenze corporative e sindacali che peraltro hanno già imposto l’immobilismo del quinquennio 1996-2001. Non è certo un caso se già oggi il centrosinistra è diviso fra una parte, la Margherita, disposta a tenersi alcune delle riforme approvate dalla Casa delle libertà, che se non altro per non ritrovarsi dinanzi a problemi annosi e irrisolvibili suggerisce di dare per scontati problemi altrimenti irrisolvibili, e una parte che sostiene un atteggiamento vendicativo, la tabula rasa in campi, le pensioni, la legge Biagi sul lavoro, la scuola, che consiglierebbero quanto meno un atteggiamento più saggio, meno autodistruttivo. La Casa delle libertà ha molte ragioni per ritenere lo scontro della vicina primavera tutt’altro che scontato, i buoni argomenti non mancano se solo vorrà usarli, e farli pesare per quel che meritano...
a.

gismondi@tin.it

Commenti