Dal Mississippi all’Idroscalo La voce di Harris

Parte stasera la rassegna «Blues in Idro» con l’eclettico chitarrista che ha scelto lo stile musicale «da grande». Dopo la laurea in antropologia nel Maine e grazie alla madre

Antonio Lodetti

Ogni tanto il vero blues, quello non contaminato dai pateracchi dell’industria, quello le cui radici affondano nel Delta del Mississippi, approda anche a Milano. Accade stasera all’Idroscalo, dove parte la manifestazione «Blues in Idro» con Corey Harris, virtuoso ed eclettico chitarrista, giovane portabandiera di un suono arcaico ma profondamente calato nella realtà di tutti i giorni. A 36 anni Harris ha conquistato la fiducia della critica, del pubblico dei puristi e dei musicisti rock. Non a caso è stato invitato da Billy Bragg e Natalie Merchant a suonare nell’album Mermaid Avenue (dedicato al mito del folk Woody Guthrie) che ha ricevuto una nomination ai Grammy.
Oggi Harris tiene concerti in tutto il mondo - dagli autorevoli blues festival di Chicago e New Orleans - ai teatri giapponesi ed europei senza perdere la sua autenticità. Non dimentica la band elettrica 5X5 ma suona prevalentemente la chitarra acustica e il dobro (chitarra metallica che prende nome dalla contrazione di Dopera Brothers, i suoi inventori) e canta recuperando gli antichi umori del Mississippi ma anche le matrici africane. Lui è nato a Denver, Colorado, e ha una formazione decisamente diversa da quella dei grandi bluesmen. Molti di loro sono cresciuti nelle piantagioni, sono stati schiavi e vagabondi, hanno sofferto la fame e la segregazione razziale; lui si è laureato in antropologia al Bates College del Maine, ha imparato ad amare il blues e a seguirne le tracce prima di farne la sua filosofia di vita. «Ho sempre sentito il blues come qualcosa di profondo nella mia anima; sono cresciuto con il blues dentro anche se non l’ho vissuto. Mia madre era di quella generazione; ha vissuto la depressione nel nordest del Texas, al confine con la Louisiana e mi ha raccontato un sacco di storie. Poi ho ascoltato i dischi di Robert Johnson e Lightnin’ Hopkins e ho capito che il mio destino era suonare quella musica». Nel suo album d’esordio Between Night and Day (1995) Harris esplora le mille sfaccettature del blues rurale con rigore e fantasia, tecnica e cuore, mostrando rara sensibilità per il «downhome» blues e le sue propaggini. Ruvido come il blues comanda ma al tempo stesso sofisticato, un po’ inventore ed un po’ esegeta, Harris si rivela un accattivante esploratore di suoni. Nel secondo album, Fish Ain’t Bitin’ (che nel 1997 vince il W.C. Handy Award come disco dell’anno) mischia il tipico sound del Delta con quello di New Orleans, utilizzando (senza strafare) una sezione fiati da «marchin’ band», e nel successivo Greens From the Garden aggiunge profumi funky, soul, ragtime. Nel frattempo inizia i suoi viaggi in Africa, affascinato da sconosciuti artisti di strada e da grandi maestri come Ali Farka Touré e Boubacar Traoré. L’incontro Africa-America è sintetizzato nell’album Downhome Sophisticated e soprattutto nel recente Mississippi To Mali. Harris è anche uno dei protagonisti del film (della serie di sette film The Blues ideati e prodotti da Martin Scorsese intitolato Feel Like Going Home, che in Italia si chiama appropriatamente Dal Mali al Mississippi).

Dopo tutte queste esperienze, la musica di Harris è sempre più ricca di fragranze e profumi; a Milano arriva in trio, regalando brillanti fantasie ritmo-melodiche senza barriere - con echi etnici e folk. Lo show sarà aperto da Guitar Ray & The Blues Gamblers, la band del chitarrista Renato Scognamiglio che pubblica in questi giorni un interessante cd prodotto da Otis Grand.

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