Il misterioso Dna del Partito democratico

Il futuro della politica italiana? Chi lo indovina è bravo. È già difficile capire il presente ch’è un enigma, per il futuro ci vorrebbero gli antichi aruspici. Gli ultimi sviluppi hanno reso l’uno e l’altra vieppiù complicati
Provare a sgarbugliarlo non è facile, ma ci proveremo, pur sicuri che per avere almeno un’idea di quelli che saranno i prossimi equilibri politici ci vorranno forse una o due votazioni politiche generali, precedute peraltro da aggiustamenti per ora imprevedibili. Certo è che gli attuali equilibri sono, oltre che tortuosi, effimeri.
Allo stato delle cose il primo interrogativo riguarda il nuovo soggetto politico che due congressi, quello di Firenze dei Ds e quello romano della Margherita, danno per nato, ma che in realtà è ancora in fase prenatale. Si presume chi sia il padre, Piero Fassino, che vi ha puntato il suo destino politico, ma ne è sconosciuta la madre, cioè la cultura di cui verrà nutrito.
Già, qual è il Dna del nuovo partito? Quello da cui vengono i Ds che ora, gettato alle ortiche il marxismo, si dichiarano riformisti socialisti, o quello cattolico-popolare da cui vengono Marini, De Mita, Prodi, Parisi e i giovani Franceschini, Letta, Follini? Sì, chi avrà cura del «bambino»? Qualche pensiero ce lo fanno Rutelli e i laici della Margherita, che da sempre giurano di non volere morire democristiani.
I cattolici del centrosinistra finora sono stati abbastanza condiscendenti verso la sinistra ds e i laici, ma ora si sono posti attentamente in guardia. È in gioco la leadership ideologica, dunque non si può essere disattenti. Chi comanderà nel nuovo partito? Rispunta l’anima combattiva del partito sturziano. Marini, il «lupo marsicano», è il più vigile di tutti. Al congresso della Margherita il suo ragionamento è stato pressappoco questo: in questa storia i vincitori siamo noi, che non abbiamo rinnegato il nostro passato.
Dunque i Ds che hanno voluto il Pd, lasciati per strada il massimalismo di Mussi e l’ideologismo sardo-scrupoloso di Angius, dovranno vedersela con questo problema storico-ideologico tutt’altro che marginale. Finora, nell’Ulivo, le opposte anime hanno convissuto pacificamente, ma d’ora in poi?
Il momento più delicato sarà quello della scelta del vertice. Chi sarà il segretario? Oltre a Fassino, che non pare volersi mettere da parte, nei Ds c’è una piccola folla di pretendenti: D’Alema, anche se cerca di apparire disinteressato; Veltroni, che da anni aspetta questa occasione; e almeno due nuovi «proci», la Finocchiaro e il piacentino Bersani.
Sulla sponda democristiana, oltre ai vecchi baroni e giovani grimpeur, c’è Prodi, che sarà un grosso problema sia per la destra che per la sinistra del nuovo partito. Ha annunciato, è vero, di volersi ritirare a fine legislatura, ma è parso prenotarsi per la guida del nuovo partito quando ha detto: «Ci penso da dieci anni». Oltretutto egli sa che la sinistra estrema, quella rimasta fuori del Pd, lo sostiene pervicacemente («disposta a qualunque nefandezza», dice Cossiga) perché fuori del governo sarebbe finita.
Può essere più complicata di così la situazione politica? Non aiuta di certo a scomplicarla quel che sta accadendo nel centrodestra, dove Casini misura il terreno per fare la sua corsa, Bossi pare disposto anche ad accordi col diavolo (e intanto incontra Prodi, che si reca a Milano per vederlo), Fini ha messo il cappello da bersagliere e sprona Berlusconi alla carica.

E Berlusconi, invece, s’è posto in fase di riflessione. Ma sì, come si fa a pronosticare i futuri equilibri politici?

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