nostro inviato a Bergamo
Su Antonio Di Pietro magistrato-007 impegnato a dar la caccia in vacanza al faccendiere Francesco Pazienza nascosto alle Seychelles, abbiamo visto come al termine dei suoi accertamenti nell’isola dell’Oceano Indiano il 15 gennaio 1985 compilò un «rapporto informativo riservato» sul latitante che mezzo mondo temeva e cercava. Quel rapporto era talmente «riservato» che a parte i giudici del processo sul crac Ambrosiano nessuno aveva mai avuto la possibilità di dargli un’occhiata anche solo per capire come mai un pubblico ministero di Bergamo s’era ritrovato a svolgere, da solo, dall’altra parte del mondo, investigazioni porta a porta su un soggetto pericolosissimo con modalità che per molti ricalcano un modus operandi da ispettore di polizia o da agente segreto. A venticinque anni dalla stesura di quel rapporto per mano di Di Pietro, ieri il Giornale ha recuperato il documento rendendolo noto a tutti. E i dubbi, anziché dissolversi, si sono moltiplicati. Prendete ad esempio l’allora diretto superiore di Tonino, il procuratore capo di Bergamo, Giuseppe Cannizzo. Ha sempre negato d’aver saputo delle investigazioni molto particolari di Tonino alle Seychelles. L’ha confermato più volte al collega Filippo Facci, che nel suo libro sull’ex toga molisana («Di Pietro, la storia vera») ha riportato un virgolettato dell’alto magistrato orobico, mai smentito: «A me non è mai arrivato nulla. Se fosse arrivato un rapporto del genere l’avrei saputo, ero il capo della Procura. Per quanto ne so, Di Pietro era in vacanza». Che fosse in vacanza, è agli atti. Che vi fosse andato per le «ferie di Natale», come sostiene Tonino, è un’anomalia visto che il viaggio lo fece a novembre anziché a dicembre. Un dettaglio insignificante. Ma quel che insignificante non è lo troviamo invece fra gli incartamenti allegati al «rapporto informativo», dove a firma del procuratore Giuseppe Cannizzo spicca una sua nota inviata alla Procura di Milano e a quella di Roma con la quale il superiore di Tonino – quello che ha sempre negato di sapere delle indagini alle Seychelles - il 18 gennaio 1985 girava il documento del pm-007 redatto dal suo sostituto tre giorni prima. «Per opportuna conoscenza – scriveva Cannizzo – si trasmette l’allegato rapporto informativo riservato redatto dal sostituto procuratore della Repubblica dott. Antonio Di Pietro». Perché Cannizzo abbia ripetutamente sostenuto di essere all’oscuro delle indagini del suo ex pupillo, non si capisce. Così come riesce poco chiaro interpretare i silenzi di Tonino sulle certezze espresse dal suo capo dell’epoca. E ancora. Di Pietro ha recentemente dichiarato che al suo ritorno in Italia dalle Seychelles informò «immediatamente» le «competenti autorità». E «fu per questo che scrissi una relazione che inviai al dottor Domenico Sica che era il magistrato che stava indagando proprio su Francesco Pazienza e che aveva disposto la cattura e le ricerche». Scrisse una relazione che inviò a Sica, così dice Tonino. Agli atti, però, esiste solo la lettera di trasmissione inviata dall’allora procuratore Cannizzo all’allora collega procuratore capo di Roma. Esiste un’altra relazione? Precedente a quella del 18 gennaio 1985, posto che Di Pietro parla di aver informato «immediatamente» le autorità competenti di ritorno dal viaggio alle Seychelles? E se Di Pietro è partito per le sue vacanze nell’Oceano Indiano il 20 novembre e rientrò in Italia al massimo tre settimane dopo, di fronte a notizie così importanti su un latitante del calibro di Pazienza perché aspettò il 15 gennaio dell’anno successivo per girarle al suo capo che poi le smistò a Roma e Milano? E questo vuol dire «informare immediatamente» le competenti autorità? Con oltre un mese di ritardo? Non è che tante volte Antonio Di Pietro ufficiosamente informò «immediatamente» le «competenti autorità» e solo successivamente ufficializzò quelle informazioni facendone partecipe il suo capo? L’interrogativo viene spontaneo se si ha la pazienza di leggere il capitolo del libro di Francesco Pazienza, mai smentito da Di Pietro, sui misteri delle Seychelles. Pagina 441 de Il Disubbidiente, edito da Longanesi. Pazienza racconta di quanto gli riferirono gli agenti segreti locali, con i quali era in contatto, per capire chi diavolo fosse quel turista italiano che nell’isola si muoveva con circospezione, faceva foto di nascosto, chiedeva notizie sul faccendiere: «Lo state registrando?» domandò Pazienza agli 007 delle Seychelles. «Sì – rispose Kim, il capo dell’intelligence - ogni sera chiama l’Italia. Ma non abbiamo ancora ben capito che cosa dice. Parla solo italiano. Abbiamo però l’impressione che informi qualcuno sulle ricerche che sta facendo sull’isola».
Un suo rapporto su Di Pietro alle Seychelles, con un sunto di quelle intercettazioni, Pazienza se lo era conservato. Lo custodiva gelosamente in una cartellina blu indaco come il mare dell’arcipelago indiano, cartellina scomparsa in circostanze rocambolesche che ruotano intorno, ancora un volta, ad Antonio Di Pietro. Che Pazienza incontrò anni dopo, ripetutamente: una prima volta nel gennaio del ’93, in piena era di Mani pulite, in una pausa del processo Armanini fecero una sorta di «rimpatriata» – così la definì Pazienza nel suo libro – su quanto accaduto anni prima alle Seychelles. «Di Pietro ammise di aver passato al suo collega romano (Sica, ndr) tutte le informazioni che aveva raccolto su di me alle Seychelles». Il secondo incontro, compulsando sempre i ricordi di Pazienza sciorinati ne Il Disubbidiente, avvenne il 19 luglio 1994, cinque mesi prima dell’addio di Tonino alla toga. «Mi chiese che se ero disponibile a dargli una mano in un’attività che non aveva niente a che fare con Mani pulite». Un terzo faccia a faccia si consumò nell’ufficio di Di Pietro il 14 ottobre successivo: «La mattina, mentre mi trovavo in auto diretto a Milano da Di Pietro, ricevetti sul cellulare una comunicazione dal mio ufficio di la Spezia: alcuni ufficiali dei carabinieri si erano da poco presentati con un ordine di perquisizione alla ricerca di documenti riguardanti i miei rapporti con la contessa Francesca Augusta e Maurizio Raggio. Rimasi completamente indifferente di fronte a quella notizia perché non avevo avuto mai nulla a che spartire col denaro dell’onorevole Craxi». Arrivato a Milano, il faccendiere chiese all’allora eroe di Mani pulite se fosse stato lui a ordinare la perquisizione nel mio ufficio. «Non realizzo», fu la risposta di Di Pietro. L’indomani, di ritorno in ufficio a La Spezia, Pazienza diede un’occhiata per controllare che durante la perquisizione i militari non avessero mischiato le carte. «Mi accorsi che era tutto al suo posto, tranne il dossier sulle Seychelles: era sparito, pur non avendo niente a che fare con i miei rapporti con la contessa Augusta». Pazienza andò a leggere il decreto di sequestro e apprese che non era stato stilato come si doveva. Il riferimento alla cartellina blu indaco, ad esempio, non c’era. Si parlava genericamente di sequestro di una «scatola con documenti. In quella scatola c’erano i segreti delle investigazioni private di Antonio Di Pietro. La cartellina blu da allora non si è più trovata.
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