Il mistero impenetrabile dell’universo femminile

L’immaginario maschile di un voyeur alle prese con una donna enigmatica

Ogni nuovo libro di Ferruccio Parazzoli si inserisce in una più vasta «commedia umana» che attraversa l’Italia nella transizione tra gli ultimi decenni del secolo passato e la nostra modernità. Se dietro uno stile alligna sempre qualche forma di gnoseologia, di visione delle cose, di giudizio etico, Parazzoli è un pessimista duro fino al radicalismo che osserva un’umanità destinata a una infinita, irrimediabile degenerazione.
Figure, gruppi, ambienti metropolitani o domestici sconfinano in forme di caricaturale distorsione, di instabile deformità. Così è per i protagonisti di Quanto so di Anna. Raccontata da un disincantato, acuto, colto e ossessionato voyeur dell’universo femminile che si sforza di risalire a una radice razionale. Eppure, esauriti tutti i passaggi, dovrà arrendersi e constatare che quell’universo è destinato a restare impenetrabile. Può, certo, tradursi in materia narrativa, ma non essere capito fino in fondo. Il «femminile», allora, si rivela per ciò che è: mistero, sensualità solare dai rovesci oscuri, torbidi, illogici. Dalle infinite variabili che a volte impazziscono e che non si lasciano ricondurre a schemi. Forse, le donne che girano e ritornano nel romanzo, che attraggono o respingono sono la stessa figura raddoppiata, moltiplicata, multifocalizzata. Con un vissuto, una psiche sempre lievemente o esplosivamente in eccesso rispetto a quella che qualcuno si ostina a definire normale e che, di fatto, altro non è se non una proiezione dell’immaginario maschile.
E dunque avviene che un narratore dichiaratamente e onestamente sessuato parlando delle donne parlerà di quanto gli sta più vicino e, nello stesso tempo, lontano. Verrà irretito, affascinato e disingannato. Per questo, lo «scrittore delle donne» (inventiamo una categoria ad hoc e troviamo gli antecedenti da Flaubert in avanti) oscilla tra la seduzione passiva, l’attrazione e una latente, trattenuta misoginia. Che lo fa diventare analista spietato, lucido e lo disabilita alle conclusioni. Soprattutto in presenza di figure anomale come Anna: zeppe di tensioni, attese, slanci e risentimenti. Capaci, di ogni pensiero e gesto. Anche di svanire senza offrire traccia. E lasciando chi le sta intorno in uno stato incerto, tra il lutto da elaborare e il ricordo da ribadire. Forse, proprio per questa attitudine all’improbabile o all’assurdo, quello femminile è per Parazzoli un universo illeggibile e ancora separato, autonomo.

Forse, la postmodernità impazzita di Parazzoli lascia ancora intravedere uno spazio per il mito più arcaico e consolatorio: quello dell’eterno femminino.

Ferruccio Parazzoli, Quanto so di Anna (Mondadori, pagg. 299, euro 17,50).

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