Roma - Ci sono i delusi della sinistra arcobaleno: non pensavano che il «corriamo da soli» di Walter Veltroni valesse solo per loro. C’è chi si chiede se questo non sia il preludio di un ritorno al partito dei giudici. E chi invece ne fa un problema di coerenza rispetto a quella che fino a giovedì sembrava l’ossessione di Walter Veltroni: partiti omogenei per maggioranze di governo solide.
L’ingresso di Antonio Di Pietro nel Pd, (liste apparentate alle elezioni e poi gruppi parlamentari unici) ha creato scompiglio nel centrosinistra. Rimane la delusione di Silvio Berlusconi. Che vede sfumare la possibilità di varare alcune riforme con un consenso ampio. Quella della giustizia, «a questo punto ha poche possibilità di riuscita», ha osservato ieri il Cavaliere, «molto stupito» per la scelta di Veltroni «di mettersi con il giustizialista Di Pietro che ha una storia drammatica e terribile alle spalle». Tranchant la conclusione di Berlusconi: «Aveva detto che correva da solo, si è rimangiato la parola...».
Sempre tra gli avversari politici del Pd, c’è il disincanto di Gianfranco Fini: Veltroni «fa finta di voler far correre il Partito democratico da solo, ma poi è costretto a imbarcare Di Pietro, mentre a Roma si prepara all’ammucchiata con la sinistra radicale».
Ma la novità della bicicletta, Pd-Italia dei valori potrebbe essere ricordata come il primo incidente nella storia del nuovo partito della sinistra. Perché le critiche sono arrivate anche dall’interno. Ad esempio quelle di Europa, che teme per la tenuta del governo. E alle quali replica direttamente l’ex pm: «Veltroni può vincere e governare bene, senza pugnalate alle spalle».
Persino Massimo D’Alema sembra rendersi conto delle difficoltà. Ieri ha spiegato che l’accordo è in funzione di un ingresso di Italia dei valori nel Pd; che la decisione era stata presa già da qualche tempo, ma che il tutto è stato bloccato da una «rottura traumatica». Quindi la frattura tra Di Pietro e Mastella.
Ma i danni maggiori sono appena fuori dal recinto del Pd. Tra gli alleati attuali e potenziali colleghi di maggioranza in futuro. La sinistra arcobaleno è intervenuta al massimo livello, con Fausto Bertinotti che chiede al Pd di «giustificare» una scelta che gli appare «incomprensibile». «Dopo aver tanto parlato di omogeneità programmatica - osserva il leader di Rifondazione comunista - posso ricordare che il Pd ha votato per l’indulto e Di Pietro contro? Mi pare una contraddizione - aggiunge il candidato premier dell’Arcobaleno - fra l’affermazione sulla omogeneità e i comportamenti tenuti in questa legislatura, non in un’altra, e non solo su questo punto dell’indulto». Si tratta, per Bertinotti, di «un’alleanza che rende meno limpida la scelta di correre da solo che il Pd ha annunciato. Qui c’è un ammiccamento al risultato elettorale a costo di qualche sacrificio della linearità». Insomma l’esatto opposto rispetto a quello che vorrebbe rappresentare Walter Veltroni.
Il caso Di Pietro ha gettato benzina sul fuoco della polemica Pd-Socialisti, particolarmente violenta ieri, dopo che D’Alema ha accusato Enrico Boselli di settarismo, perché non vuole entrare nel Pd. «Non ci si può neppure dire che il Pd non fa alleanze perché ha appena contraddetto questa scelta», osserva lo stesso Boselli. Anche Gavino Angius, ex esponente dei Ds approdato ai socialisti critica la scelta di includere Di Pietro. E dà ragione a Bertinotti sull’incoerenza mostrata da Veltroni.
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