RomaAttore del popolo. E chi altri, se non lui? Perché «popolare», Claudio Amendola, lo è davvero. Nel senso culturale (solo licenza media, niente scuole di recitazione), in quello interpretativo (solo ruoli ruspanti; o perlomeno plebei) in quello della notorietà (sempre amatissimo: da pubblico e critica). E ora che sta per festeggiare i trentanni di carriera, ora che torna ai ruoli drammatici degli inizi - con Dovè mia figlia?, su Canale 5 fino al 25 settembre - lirresistibile «attore del popolo» sembra volersi dimostrare anche qualcosa di diverso.
Come in questo personaggio: il ricco imprenditore di «Dov'è mia figlia?». Non è solo uno dei suoi pochissimi ruoli borghesi, ma soprattutto quello di un uomo ambiguo e sfuggente.
«Io lo definisco "the dark side di Giulio Cesaroni". E cioè quello che, dopo anni spesi in commedie leggere e polizieschi disimpegnati, mha fatto tornare la voglia dinterpretazioni più complesse, più sfaccettate. Apparentemente vittima duna sciagura terribile (linspiegabile sparizione duna figlia sedicenne) nella fiction in quattro puntate diretta da Monica Vullo questuomo si rivelerà sempre più chiaroscurale. Con molti pesi di cui liberarsi, molti misteri a cui dare spiegazione».
Perché ha atteso tanto per tornare al dramma (che pure la lanciò, in film cone «Ultrà» o «Meri per sempre»)? Logiche di mercato? Sottovalutazione di se stesso? Complessi dinferiorità?
«Pura pigrizia. Mi sono adagiato sul colossale successo dei Cesaroni e per anni ho rifiutato innumerevoli proposte. Ma io non mi sottovaluto perché, in realtà, sono vanitoso. E non mi sono mai sentito "inferiore" a colleghi più titolati. Di solito sono proprio loro, a farmi i complimenti».
Lei debuttò a soli diciotto anni, subito al top (col bellissimo «Storia damore e damicizia» di Franco Rossi), e senza mai più perdere un colpo. Allora è vero che basta il talento (e anche un po di bellezza), per farcela?
«Il talento, si: ma assieme al duro lavoro, e allumiltà. Da ragazzino io ero una causa persa. Non volevo studiare, fra i 13 ai 18 anni ho fatto il bagnino, loperaio, il benzinaio, il commesso... Finché questo mestiere mha dato una regolata. E soprattutto mha consentito di realizzare quanto maveva insegnato mio padre: la serietà sul lavoro, e il rispetto del lavoro degli altri».
Romano, romanista, romanaccio... La sua evidente identità culturale le ha mai creato problemi?
«Allinizio, quando vedevano il Colosseo che ho tatuato sul bicipite, cera qualcuno che storceva la bocca. Ma il successo ha provveduto a "sdoganarmi". E del resto, su 50 attori italiani di successo, 32 sono romani. E 28 romanisti».
E la tv?
«Quella è solo un gioco. Presentare Scherzi a parte mi rilassa: non ci sono copioni da imparare».
Dopo trentanni di successo a chi deve dire grazie?
«Come attore soprattutto a Carlo Vanzina.
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