Jobs Act, cresce più il mobbing del lavoro

Non se ne parla più ma in un anno le denunce aumentate del 20%. Milano capitale delle angherie

Jobs Act, cresce più il mobbing del lavoro

Tradotto alla lettera dall'inglese significa «angheria, molestia». Una violenza difficile da definire e da reprimere e che solo di recente i giudici della Corte di Cassazione hanno riconosciuto come reato. Un fenomeno in aumento ma di cui non si parla più, magicamente sparito dal dibattito parlamentare. Tanto che l'Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere una legge.

I casi di mobbing sono molti e le denunce poche. Negli ultimi due anni però sono aumentate in modo esponenziale le segnalazioni di persecuzioni sul luogo di lavoro subite dalle donne incinte, dagli omosessuali e dai dipendenti assunti con il Jobs act, la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi. A denunciarlo è l'Osservatorio nazionale mobbing, che rileva numeri preoccupanti. Da quando è entrata in vigore la riforma (che non ha prodotto la nuova occupazione promessa) i casi registrati dall'Osservatorio nazionale mobbing sono cresciuti del 20 per cento. «L'aumento è costante dice Antonio Vento, presidente dell'Osservatorio e c'è da considerare che molte persone hanno paura di denunciare. Basti pensare che emerge solo il 10-20 per cento dei casi, mentre le denunce sono ancora meno, fra il 5 e il 10 per cento. Questo perché manca una legge specifica e perseguire i responsabili non è per niente facile». I lavoratori sono diventati psicologicamente più inclini a sottostare alle piccole angherie quotidiane che, in due casi su dieci, diventano grandi. In aumento sono anche i casi legati alla maternità. Al punto che di recente anche Papa Francesco ha detto: «Troppe donne vengono licenziate perché incinte». Le denunce sono circa 500mila ogni anno, con l'età media delle vittime compresa fra 25 e 35 anni. Negli ultimi cinque anni il fenomeno è cresciuto del 30 per cento nel nostro (...)(...) Paese, mentre solo dal 2013 a oggi sono state licenziate o costrette a dimettersi 800mila lavoratrici, delle quali 350mila in stato di gravidanza. E non finisce qui, perché il problema di conciliare carriera e famiglia costringe ogni anno quattro donne su dieci a lasciare il lavoro subito dopo il parto, soprattutto al Sud.

MAMME ALL'ANGOLO

Sempre secondo l'Osservatorio, il 21 per cento dei casi di mobbing per gravidanza si concentra nel meridione, il 20 per cento nel Nord-Ovest, il 18 per cento nel Nord-Est e la parte restante è equamente distribuita fra Centro e isole. E c'è anche una capitale del mobbing per maternità: è Milano, con 1.800 casi negli ultimi tre anni. Fra le città meno virtuose seguono Roma (1.600 casi), Torino (1.200), Bologna (950), Cagliari (600) e Palermo (450). «Non sono solo le fasce basse della società a subire queste situazioni spiega ancora Vento, psichiatra e criminologo dell'università Sapienza di Roma -. Basti pensare che il 50% delle donne colpite ha un diploma di maturità, il 42% una laurea, il 5% un diploma di scuola media e solo il 3% uno di scuola elementare». I settori più a rischio sono servizi (30% dei casi), commercio (22%), industria (17%), pubblica amministrazione (10%), sanità e scuola (5%), trasporti e finanza (4%) e agricoltura (3%).

POLITICA LENTA

Qualcosa intanto si sta muovendo sul fronte della giurisprudenza. I giudici della Corte di Cassazione, con una sentenza datata ottobre 2015, hanno infatti riconosciuto per la prima volta il mobbing come reato, alla luce dell'articolo 97 della Costituzione. Ma questo, evidentemente, può essere solo un primo passo. «Dietro la parola si nasconde un'infinità di situazioni diverse spiega Vincenzo Ferrante, docente di Diritto del lavoro all'università Cattolica di Milano -. Non si può dire che siamo di fronte a un vuoto normativo, visto che il Codice civile impone al datore di lavoro di tutelare l'integrità morale del dipendente. Ma si tratta comunque di una tutela troppo generica. Recentemente è stato anche istituito un Commissario per la parità di genere, che dovrebbe proteggere i diritti delle donne, ma in 15 anni ha fatto pochissimo». Cosa dovrebbe fare l'Italia per mettere ordine in questa materia? Per prima cosa occorrerebbe meglio distinguere cosa sia il mobbing e quali siano le sue forme. Per esempio capire che esiste una differenza fra mobbing verticale dirigente contro lavoratore e mobbing orizzontale, che vede protagonisti colleghi pari grado che tentano di screditare la reputazione lavorativa o personale di un altro individuo. Tenendo presente che questa seconda forma è di gran lunga la più difficile da individuare ed eventualmente punire.

STRESS DA MORIRE

«Solo facendo le giuste distinzioni sarebbe agevole perseguire chi commette il reato prosegue -. Per adesso ci troviamo di fronte a un concetto troppo sfumato. Che però negli ultimi tempi è diventato più facile circoscrivere: negli ultimi due anni, fra legge Fornero e Jobs act, i casi di persecuzione sul lavoro sono cresciuti». Così come sono aumentati i casi del cosiddetto stress da lavoro correlato, il passo che precede il mobbing vero e proprio.Una recente ricerca ha evidenziato come il 47 per cento degli imprenditori italiani dichiari di sentirsi stressato e come questo provochi un calo della produttività. Non molto diversi sono i risultati di uno studio condotto dall'università Sapienza di Roma, in collaborazione con Aisic: lo stress è considerato causa di morte per sette italiani su dieci. Le conseguenze di questo fenomeno sono tremende, sia per i lavoratori sia per i dirigenti. «Assenteismo, elevata rotazione del personale, conflitti interpersonali, infortuni o lamentele frequenti da parte dei lavoratori sono solo alcuni dei sintomi che possono rilevare la presenza di stress da lavoro conferma Stefania Doria, psichiatra dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano -. Il costo relativo a questa patologia è di 20 miliardi di euro annui nell'Unione europea per la perdita di lavoro e per i costi sanitari». E la previsione e tutt'altro che rosea: si stima che nel 2020 questa forma di stress sarà la prima causa di assenza dal posto di lavoro nei Paesi del Vecchio continente. «Questo dato non deve stupire commenta Silvio Ripamonti, psicologo della Cattolica -. Il mobbing è un comportamento che mette sullo sfondo il lavoratore, non riconoscendo più la sua identità di persona e di professionista. Ed è questa la cosa più devastante dal punto di vista psicologico».

DEPRESSI E IMPRODUTTIVI

Ma c'è un altro dato che emerge: il mobbing non è pericoloso solo per chi lo subisce. «Per le aziende i costi associati a questo fenomeno sono elevatissimi conferma -. Questo perché il dipendente mobbizzato produce di meno e inoltre diventa un peso maggiore nel momento in cui viene demansionato e quindi non lavora come potrebbe in base alle sue capacità. Insomma, siamo di fronte a un'arma a doppio taglio, che può diventare insidiosa anche per i dirigenti». E proprio per questo va studiata e regolamentata meglio dal punto di vista giuridico. Anche perché cadere nell'assurdo può diventare facilissimo.

Proprio come è accaduto in Australia, dove il tribunale per il diritto del lavoro ha considerato mobbing la semplice cancellazione di un collega dalla lista di amici su Facebook. Una sentenza che ha creato ancora più confusione in un settore ancora in piena evoluzione.

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