La moda aiuti Milano a conquistare l’Expo

La scorsa settimana, da questa rubrica, come parlamentare lombarda, lanciavo un allarme e un appello: attenzione, perché Milano, la città che amo e dove vivo, rischia di perdere quella straordinaria opportunità che è l’Esposizione universale del 2015, quindi, rimbocchiamoci le maniche e proviamo tutti insieme a scongiurare il pericolo. Sono in ballo 30 milioni di visitatori, 100mila posti di lavoro, 7 miliardi di euro di investimenti. Voleva essere un invito a cercare i rimedi più adatti nel poco tempo che resta.
Invece che sul da farsi, si è cominciato a discutere su chi avesse fatto uscire la notizia dai cassetti dove doveva restare confinata, anche un carissimo amico come Ignazio La Russa ci ha aggiunto persino un richiamo alla disciplina di partito: non si parla sui giornali di cose come questa. Nel frattempo l’orologio corre e si avvicina il giorno in cui una delegazione dell’organizzazione incaricata di sovrintendere all’assegnazione dell’Expo piomberà a Milano per capire a che punto sono preparativi e progetti, l’ultima spiaggia per sovvertire i pronostici che ci vedono in questo momento svantaggiati nel confronto con la città turca di Smirne.
Allora, è legittimo o no chiedersi a che punto siamo? Il progetto milanese per l’Expo ha i suoi punti di forza nel verde e nell’acqua, prevede la riqualificazione dei Navigli, un grande lago, nuovi percorsi ecologici, un suggestivo impianto firmato da Massimiliano Fuksas, in pratica tutta una serie di iniziative per la riqualificazione dell’intera città. Il progetto ha iniziato a tradursi in un piano particolareggiato e articolato di interventi - con tempi e procedure certe - in grado di catturare l’interesse di chi lo osserva? Milano soffre di una cronica carenza di insediamenti alberghieri e turistici, mi sembra inevitabile domandarsi a che punto sono le proposte reali e concrete per risolverla. E ancora, tra vincoli e impedimenti burocratici di ogni genere, Letizia Moratti ha più che mai bisogno, e con grande urgenza, dei poteri straordinari promessi dal governo Prodi per far fronte a questa come ad altre emergenze: cosa si aspetta? Vogliamo accelerare il decreto promesso già prima dell’estate? Ma soprattutto cosa si aspetta per trasformare l’Expo in un evento capace di mobilitare l’attenzione e l’entusiasmo di tutto il Paese?
Tra breve si apre a Milano la settimana della moda, una manifestazione seguita dai media di tutto il mondo: si è pensato a un modo di collegarla alla campagna per l’Expo? Le grandi agenzie di comunicazione (e le stesse aziende coinvolte nel progetto) lamentano che il simbolo dell’Expo, il disegno di Leonardo Da Vinci, sia rimasto pressoché clandestino e poco spendibile. Si è pensato, ad esempio, a lanciare un concorso di disegni tra gli alunni delle scuole milanesi affinché con la loro fantasia trovino il modo di far «camminare» il disegno di Leonardo nel mondo? È così difficile diffondere il logo e lo slogan «Io Expo e tu?» attraverso la rete degli uffici di Poste italiane sparsi su tutto il territorio?
C’è poi il grande problema dell’Europa. La candidatura di Milano ha qualche probabilità di successo solo se si riuscirà a farla diventare una candidatura di bandiera della Ue visto che tutti i Paesi islamici sono schierati con Smirne. Il biglietto da visita della Comunità e della sua capacità di affrontare in prima fila e in prima persona, le sfide del nostro tempo: dall’ambiente all’energia, dall’acqua al cibo, dall’immigrazione alla salute e allo sviluppo sostenibile. Una strada in salita, ammoniva qualche mese fa Enrico Letta: per l’aggiudicazione del 2012 è in calendario un’esposizione universale di «secondo piano» e in gara c’è un’altra città europea, la polacca Wroclaw, assieme a Tangeri in Marocco e la coreana Yeosu. Se dovesse spuntarla è evidente che per Milano le possibilità si riducono ulteriormente: un problema in più. Come si vede, gli ostacoli non mancano e il tempo a disposizione è quello che è.

Ma è solo dall’incrocio di queste due strategie, una per l’Italia, l’altra in Europa, che l’Expo può cambiare direzione, riattraversare il Mediterraneo e tornare a guardare dalle nostre parti. Ed è quello che mi auguro. Perché per l’Expo non mi sento né un gufo, né una colomba, come qualcuno dice, ma un’aquila.

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