Ma la moda è arte? Si direbbe di sì ammirando quegli straordinari abiti trattati come sculture che quasi galleggiano nelle sale della Venaria Reale (Torino). Belli, bellissimi, nulla hanno da invidiare alle opere e agli arredi della secentesca Reggia. Eppure si respira un senso di morte; ovvero, quando una qualsiasi disciplina entra nel museo si verifica quell’effetto che la sottrae dal presente e dalla vita. Studiando i vestiti come quadri e arredi andiamo a mummificarne l’effetto di rapida consumazione cui sono sottoposti nel presente. Tutto è ormai parte della storia e l’energia rapidamente svanisce.
Moda in Italia. 150 anni di eleganza è la penultima tappa (fino all’8 gennaio 2012, poi toccherà al genio di Leonardo da Vinci) del lungo viaggio che Torino ha dedicato al secolo e mezzo di unità in tricolore. Giusto scegliere la moda in quanto specifico forte del fare italico, partendo dall’abito lussuoso della Contessa di Castiglione fino al caos delle passerelle e del sistema-fashion introdotto negli anni ’80 e ancora in sella, tra una crisi e l’altra. Una rassegna che non mancherà di attrarre il pubblico, densa di curiosità e di chicche, ben corredata da un apparato multimedia di film, musica, riproduzioni fotografiche, sensazioni olfattive in un allestimento complesso e articolato ideato da Michele De Lucchi.
Le mostre, in realtà, sarebbero due, l’una incastonata nell’altra, la prima storicistica e accademica, curata da Gabriella Pescucci, scenografa, costumista e premio Oscar con L’età dell’innocenza di Martin Scorsese, la seconda vitalistica e affastellata in un’unica sala, concepita da Franca Sozzani, opinion leader della moda italiana dalle colonne di Vogue.
Viaggiando nel tempo, dal 1861 al terzo millennio, si colgono innanzitutto i profondi mutamenti della società attraverso i cambiamenti dell’abito e, subito dopo, si vede come si è trasformato, anche morfologicamente, il corpo della donna (al 90 per cento si tratta di vesti femminili, forse qualcosa in più sulla vanità maschile andava detto). Se Feuerbach diceva «l’uomo è ciò che mangia», qui si precisa «la donna è ciò che indossa», pur nella clamorosa rinuncia all’accessorio - borse, scarpe, gioielli, acconciature - che ogni vera femmina stigmatizzerebbe, perché senza orpelli anche lo splendido vestito da ballo di Claudia Cardinale nel Gattopardo di Luchino Visconti appare persino spoglio.
L’andamento della prima parte è dunque cronologico (e filologico) con diversi picchi qualitativi, molti dei quali provenienti dalla Fondazione Tirelli Trappetti. Primo passaggio cruciale, quando la donna scopre la città, è la Belle Époque, si apparecchia per le feste da ballo e per sedurre con le stoffe oltre che con lo sguardo, come in una tela di Boldini. Poco dopo imparerà a guidare l’auto e avrà bisogno di sentirsi più comoda, meno ingessata. Tra i capolavori del primo ’900, un capo indossato da Lina Cavalieri, attrice e soprano, la donna più bella del mondo secondo D’Annunzio, che di lì a poco comparirà sul proscenio, unico dandy in un’epoca di imminente tragedia, Vate assoluto di un eterno femmineo che gli riconosciamo a gloria imperitura.
Dopo la breve rivoluzione futurista (i gilet di Depero e Balla, la tuta aerodinamica di Thayaht), si piomba nell’autarchia fascista che nella vita quotidiana impone rigore a quelle donne lavoratrici che devono sostituire il maschio partito in guerra. Eppure quell’abito da sera nero decorato con svastiche avrebbe suscitato l’invidia di contemporanei trasgressivi come McQueen e Richmond. Con gli anni ’50, in prossimità del boom economico, nasce la sartoria italiana di Gattinoni, Schubert, Pucci, Sorelle Fontana, non ancora vero e proprio sistema come il francese (sono in molti però ad ispirarsi al nude look di Pierre Cardin, segno che il vestito non serve per coprire ma per esaltare la bellezza), eppure fondato su altissima qualità e manodopera di straordinaria abilità. Se ne accorge soprattutto il cinema, da Fellini a Visconti, che contribuisce alla fortuna del made in Italy. Poi verranno il Pop, la minigonna, il prêt-à-porter e finalmente la modernità.
Dalla visione museografica si transita infine alla cinica e glamourosa temperatura della moda di oggi. Come detto, Franca Sozzani risolve tutto in una sala, trasformata in una passarella dove sfilano decine di capi, questi sì corredati di accessori, e altrettanti in attesa nel backstage.
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