Angelika e Dimitri, giovani quadri del Komsomol, avevano capito tutto già nel 91, quando la promessa di trasparenza, la glasnost di Gorbaciov, già cedeva il passo al nuovo che avanza: Eltsin con una bottiglia di vodka e una donna per tutti. Serano attrezzati, i dirigenti dellUnione giovanile del Pcus, per trasformare i vecchi scambi culturali con i giovani comunisti di tutto il mondo in più redditizi tour per soli ardimentosi studenti occidentali. Scambi culturali sì, ma con lofferta di servizi turistici extra. A pagamento. Niente rubli sintende, si accetta solo pregiata valuta straniera: tolko za valutu. In quellanno arrivò il colpo di Stato, col pensionamento dellUrss e il suo sognato «Sol dellavvenire» (ma non ditelo al trotzkista Ferrando). E ora che anche Pechino è più decadentemente capitalista di Detroit e Castro si ritira a dittatura privata, di vestigia del comunismo da visitare ne restano davvero poche. Il passo successivo è lultima, terribile, nemesi delleconomia di mercato su quella socialista: trasformare ciò che resta dellepoca sovietica in luna park. Perché anche la nostalgia e la curiosità verso mondi diversi, potenti molle del turismo globale, seguono la legge ferrea del mercato: la scarsità di un bene ne aumenta il potere di attrazione e, di conseguenza, il prezzo.
Bastano poche decine di euro per il «Crazy communism tour» offerto da un intraprendente gruppo di giovani polacchi che scarrozzano i turisti in visita al signor Vieslav, «vero lavoratore comunista» o a ballare a Nowa Huta, in una vecchia balera congelata nel Cortina di ferro style anni 80. E se ne spendono anche meno in Cina per impossessarsi dei simpatici gadget maoisti. Ma fin qui siamo ai simulacri, alle disneyland del blocco di Varsavia. Lapoteosi, larma finale turistica nel campo dei tour comunisti, ce lha in mano la Corea del Nord. Nessun altro Paese al mondo ha conservato intatta latmosfera plumbea di quegli anni. Chi altri può offrire autentiche sensazioni da dittatura del proletariato? E poiché la passione per i Soviet luna park non può che crescere, perfino i burocrati di Pyongyang hanno intuito laffare. E lhanno messo in pratica: grazie alla passione di Alejandro Cao de Benos, 34enne avvocato catalano tanto innamorato delloasi più realsocialista del pianeta da cambiare nome in Zo Sun-il (significa «la Corea è una sola») e fondare la Korean friendship association, che da qualche tempo si è improvvisata tour operator. Per partire alla volta di Pyongyang bisogna sborsare 4.000 euro (biglietto aereo escluso) e sottostare a una serie di restrizioni: il passaporto non può essere americano, giapponese o sudcoreano e iscriversi a una lista dattesa che dura qualche mese. Una volta sul posto si sarà ovviamente privati di strumenti di trasmissione (cellulare e computer), accompagnati ovunque e sottoposti a severi limiti quanto alle foto ricordo da portare a casa. In compenso si verrà abbondantemente fotografati in posa vicino a bimbi in divisa da giovane pioniere del comunismo e vicino a effigi del Caro Leader Kim Jong-il. Limitazioni tali da scoraggiare i turisti? Ma niente affatto: i posti disponibili per le partenze di febbraio erano tutti venduti. Un po perché il Soviet tour in Corea in fondo è un viaggio estremo e quindi attira gli appassionati degli itinerari avventurosi. E poi perché non bisogna pensare che gli appassionati dei soviet tour siano necessariamente dei nostalgici trinariciuti. Il tramonto del comunismo in fondo lascia orfani un po tutti (soprattutto tra coloro che non vivevano sotto i regimi) ed è unestinzione che restringe la biodiversità socio-politica e cè tutto un filone di viaggiatori che quando parte cerca soprattutto un mondo diverso dal proprio. Basta sbirciare nei pensieri di qualche long traveller attraverso lo spioncino dei loro blog. «Questanno non sapevamo che fare - scrive lamericana Katrina - poi ci è venuta lidea geniale: un tour dei vecchi ex Paesi comunisti.
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