La moda taglia i prezzi per vincere la crisi

Non è solo questione di look: dopo la crisi, anche il mondo della moda non è più lo stesso. Lo scenario economico è cambiato profondamente, sacrificando drasticamente tutti i consumi superflui. Sotto i colpi della recessione, sono caduti gruppi che hanno fatto la storia del made in Italy, come Mariella Burani e It Holding, a cui faceva capo una maison prestigiosa come Gianfranco Ferrè.
Nel 2009 - secondo i dati di Sistema Moda Italia - la produzione industriale del settore ha perso il 13,8%, accompagnata da una riduzione del fatturato del 16,5%, che ha bruciato 26mila posti di lavoro, con un deterioramento della bilancia commerciale pari a circa 3.700 milioni di euro. Nel 2007, per dare un’idea, il fatturato era di 55.021 milioni (+3,1% rispetto all’anno precedente): l’anno successivo ha iniziato a calare (-1,6%), attestandosi a quota 54.117 milioni, per scendere a 45.187 milioni nel 2009.
Nel 2010 sembra farsi strada il ritorno alla normalità, pur lungo un percorso ancora accidentato, ma la piena ripresa appare rimandata ai mesi a venire. E il mondo della moda, in ogni caso, dovrà venire a patti con consumatori molto meno disposti a spendere rispetto al passato. Le abitudini ormai sono cambiate: negli ultimi due anni anche la fascia alta dell’abbigliamento, che finora era rimasta indenne dalla recessione o quasi, ha accusato una flessione delle vendite, a vantaggio della fascia media; proprio quella che fino a poco tempo fa era considerata in via di estinzione, a favore di una polarizzazione tra abbigliamento a basso costo - riserva di caccia della Cina - e alta gamma, dominato da Italia e Francia. Lo conferma la classifica elaborata da Pambianco Strategie d’Impresa - basata sulla crescita del fatturato nel 2009 - dei primi 23 gruppi della moda, dove spiccano le performance di marchi solidi, con un buon rapporto qualità-prezzo e una diffusione di massa. Un esempio è Calzedonia (+13,3%), a cui fanno capo anche i brand Intimissimi e Tezenis, oltre alla maggioranza del marchio di cachemire Falconeri, acquisita proprio lo scorso anno, che ha superato nel 2009 il miliardo di ricavi; un altro è Coin-Oviesse (+9,5%), che a gennaio 2010 ha acquisito la storica catena italiana low cost, Upim, e si prepara a sfidare colossi come Zara e H&M.
Anche un’icona dell’alta moda come Valentino nel corso del 2009, oltre ad avere operato tagli importanti dei costi, ha comunque puntato su un prodotto che l’ad e presidente di Vfg, Stefano Sassi, definisce «più attuale e accessibile». E i risultati si sono visti: nei primi mesi dell’anno le vendite sono riprese, anche su Internet, l’altra grande novità della moda post crisi. In questo settore, il campione è Yoox, non a caso l’unica matricola di Piazza Affari del 2009: anche nell’«annus horribilis», infatti, il sito di moda online numero uno al mondo, guidato da Federico Marchetti, ha visto i ricavi in crescita del 50%, passando da 101 milioni del 2008 a 152 milioni a fine dicembre, e ora si prepara ad «aggredire» il mercato cinese.
Resta ancora in stand-by, invece, l’eterna «matricola annunciata», Prada, che continua a rimandare l’approdo in Borsa. Il gruppo guidato da Patrizio Bertelli, peraltro, ha visto accelerare del 26% il fatturato nei primi tre mesi del 2010, anche e soprattutto grazie all’incremento del numero dei negozi.


La distribuzione, d’altra parte, è fondamentale per il successo delle griffe: lo dimostra il buon risultato di Tod’s (+0,8% i ricavi 2009, ma +4,1% quelli derivanti dalla catena diretta di boutique). Non a caso il gruppo guidato da Diego Della Valle, che nel primo trimestre 2010 ha visto i ricavi salire del 3,4%, ha avviato un importante progetto di restyling dei suoi negozi, prima tappa Los Angeles.

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